Nei giorni scorsi una giovane di Bastia Umbra, vittima della brutale violenza del compagno, ha postato su Facebook le immagini del viso tumefatto con gli occhi semichiusi dalle botte e i segni delle ferite sul corpo.
La notizia ha scatenato una ridda di reazioni. Anche il sindaco della cittadina umbra, Paola Lungarotti, che ha tenuto per sé la delega alle Pari Opportunità, a nome dell’Amministrazione, ha espresso la propria vicinanza.
Di questo e di altri aspetti connessi abbiamo discusso con Giusy D’Aquino, avvocato civilista, specializzata in diritto di famiglia e tutele dei minori, affidi familiari ed interdizioni legali.
Avvocato D’Aquino, che reazioni suscitano in lei immagini come quelle che sono apparse su Facebook nei giorni scorsi?
“La storia di questa ragazza è un pugno al cuore. Sono andata a visitare il suo profilo per cercare di capire, anche da un punto di vista psicologico, quale è la situazione. Anche perché spesso le vittime cercano di trovare una spiegazione all’atteggiamento violento del proprio partner, quasi come se ci fosse una logica dietro le violenze. Lei mi chiede di spiegare come mi sento di fronte a certe immagini: male. Malissimo, anzi. È un disastro. Certamente questa giovane ha avuto coraggio nel pubblicare sul Social le immagini del pestaggio subito. Mi chiedo, da osservatrice esterna: cosa si farà oltre questo? La ragazza riceverà il giusto aiuto per poter andare avanti? Non mi riferisco all’aspetto giuridico, perché sicuramente chi di dovere farà i passi necessari. Ma psicologicamente che tipo di sostegno avrà? Sopportare questo genere di cose jha un effetto devastante”.
Quanto sono importanti i Centri anti-violenza?
“Sono importantissimi. Come donna, prima ancora che come professionista, mi sento di ringraziare chi opera in queste strutture di volontariato capillarmente distribuite sul territorio nazionale. Questo perché alla base c’è la volontà popolare di attivarsi per far sì che certi episodi non abbiano più a verificarsi. I centri sono i primi a spalancare le porte alle donne, a non farle sentire più sole, creando un rapporto di empatia. Non è affatto facile”.
Per quale ragione?
“Perché l’interlocutrice di turno è una donna innamorata che va aiutata a trovare la forza per ammettere, innanzitutto a se stessa, che la persona con cui voleva condividere la vita si è trasformata nel suo aguzzino”.
Lei ha seguito diversi casi dal punto di vista delle vittime. Quale è il suo approccio?
“Anche io mi devo sforzare di instaurare un rapporto empatico, cercando di far sentire le donne a loro agio, in modo da far cadere tutte le barriere ed avere un racconto quanto mai esaustivo della dolorosa vicenda. Molto spesso i primi incontri avvengono al di fuori dello studio, nei centri antiviolenza e persino in locali pubblici come un bar. Paradossalmente la vittima si abitua alle violenze quotidiane e avverte disagio anche solo se esce di casa. Questo approccio, però, produce anche degli effetti negativi”.
Cioè?
“Mostrando necessariamente il lato più sensibile, mi verrebbe da dire umano, si finisce per perdere la neutralità. Si condividono dolori e sofferenze. Questo rende oltremodo difficile la difesa tecnica, laddove bisogna effettuare delle scelte strategiche con grande lucidità”.
L’impressione che si ha dall’esterno è che oggi voi avvocati specializzati in questa materia avete più margini di movimento rispetto anche al rapporto con le forze dell’ordine…
“Per fortuna c’è stata anche in Italia una piccola rivoluzione culturale. È partita tardi, ma ha, comunque, prodotto effetti importanti. A parte la legislazione in materia, oggi possiamo contare anche su rappresentanti delle forze dell’ordine, adeguatamente formati ad affrontare questi casi specifici. Nelle caserme ci sono stanze deputate a raccogliere le deposizioni senza creare disagio nelle vittime”.
Come donna e come avvocato si fida ancora degli uomini?
“Solo di quelli che le rispettano – che per fortuna non sono pochi – e di quelli che indossano una divisa e le vengono a salvare…”.