giovedì, 19 Dicembre, 2024
Economia

Torneranno i prezzi ruggenti?

Che l’inflazione sia arrivata è ormai un dato di fatto. Basta andare a fare il pieno di carburante al distributore per accorgersene. Le domande a questo punto sono due. Quanto sarà forte? Quanto durerà? Alla prima domanda nessuno ovviamente sa rispondere, perché le cause sono multiple, a cominciare dalle difficoltà nel reperimento di alcune materie prime fondamentali dell’economia, per spostarsi poi ai componenti per l’elettronica e ai semiconduttori, arrivando infine alla componente energetica, con l’OPEC che a suo tempo aveva tagliato la produzione di petrolio per sostenere i prezzi e che ora è tornata ad aumentarla ma in maniera estremamente comoda (cioè lenta). Anche le immancabili Cina e Russia stanno facendo la loro parte. La prima interrompe a intermittenza gli acquisti di carbone dall’Australia come forma di pressione politica, anche legata alla questione di Taiwan. La seconda dirotta a favore della prima una parte dei flussi di gas naturale che sarebbero destinati all’Europa, semplicemente perché Pechino glieli paga di più. La questione energetica ha creato profonde spaccature anche al Congresso americano, con una parte dei Democratici prontamente accorsi in difesa dell’industria locale del gas naturale, invocando il più Trumpiano degli argomenti, ovvero l’indipendenza energetica degli Stati Uniti.

Alcune tra le principali banche centrali del mondo, in particolare la Federal Reserve americana e la Banca Centrale Europea, ribadiscono che l’inflazione sarà un fenomeno temporaneo. La prima, però, ammette che questa temporaneità dovrebbe durare più del previsto, avendo ormai abbandonato l’idea che il caro prezzi possa concludersi quest’anno ed avendo spostato la scadenza alla fine del 2022. La Bce vive invece un dramma dialettico al suo interno, perché i banchieri del Nord Europa ora alzano (a ragione) la voce per accelerare l’aumento dei tassi di interesse, poichè dalle loro parti il denaro fermo sui conti correnti ha ancora un rendimento negativo. Invece il resto del board esecutivo vorrebbe che si tergiversasse, anche perché al suo interno vi sono i rappresentanti dei paesi col più alto debito pubblico, il cui costo aumenterebbe significativamente in caso di rialzo dei tassi. La presidente Lagarde ce la mette tutta per trasmettere una sensazione di calma, ma il suo imbarazzo di fronte le domande dei giornalisti è sempre più evidente, essendo arrivata a dichiarare che l’inflazione non durerà molto perché si stanno costruendo nuove fabbriche di chip e nuove navi da trasporto. Peccato che i cantieri non abbiano la bacchetta magica… È dunque evidente che le previsioni della Bce hanno un forte contenuto politico.

Dov’è che l’inflazione è più pericolosa? Negli Stati Uniti, dove ha raggiunto i massimi degli ultimi 13 anni al 5,4%, i settori merceologici più caldi sono il comparto automobilistico e quello energetico, con aumenti dei prezzi su base annua attorno al 25%. Il che si traduce per ora in una crescita limitata del costo dei trasporti, che sale del 4,6%, ma di altrettanto aumenta anche il costo del cibo. Nell’eurozona il carovita ha toccato il 4,1%, sempre con l’incremento dell’energia attorno al 24%, ma per ora contenendo i prezzi dei servizi (+2,1%) e del cibo (+2%). Proprio in quest’ultimo settore i paesi della Ue godono di una certa autosufficienza, ma a scompaginare il quadro potrebbero inevitabilmente arrivare il costo dei trasporti. Si rischia davvero che costi di più trasportare la frutta al mercato che non produrla. E in Italia? A casa nostra abbiamo raggiunto il 2,9%, perché l’energia è cresciuta un po’ meno (22,9%). Poco mosso anche il costo del cibo (+1,4%), ma già sul piede di guerra i trasporti (+2,4%). 

Ecco dunque il paradosso. Noi ci domandiamo quanto durerà l’inflazione, ma in realtà dovremmo chiederci quando arriverà veramente. Il trasferimento dell’inflazione da un paese all’altro non è mai integrale, perché ciascuno ha le proprie peculiarità in termini di sistema produttivo e di struttura dell’import-export. E proprio nella lentezza con cui si trasmette si nascondono le minacce per il futuro. Infatti la velocità relativamente bassa di trasmissione dipende dall’interazione dei vari soggetti coinvolti nell’economia, produttori, distributori, consumatori. Non tutti riescono a trasferire sugli altri i maggiori costi. Il risultato di questa interazione è solo in parte prevedibile e la sua complessità può rendere il calo dell’inflazione molto più lento della sua diffusione. Il mondo post Covid potrebbe dunque assomigliare molto agli anni ’80, un periodo di frenetica ripresa, ma anche di prezzi ruggenti.

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