Può lo Stato limitarsi solo a sborsare soldi per imprese al collasso senza poi mettere in campo una visione strategica sul loro futuro? Il quesito da parte sindacale è sciolto dalla presa di posizione della Federazione italiana operai metalmeccanici Fiom-Cgil che sottolinea.
“Lo Stato non deve limitarsi ad un intervento di natura finanziaria, deve assumere nella nuova società una funzione di indirizzo strategico del progetto industriale”. Il caso è quello della ex Ilva in cui l’intervento economico del Governo ha sancito una svolta, un cambio che i sindacati seguono con attenzione. “La decisione del Governo di entrare in ArcelorMittal attraverso la controllata Invitalia”, osserva Francesca Re David, segretaria generale Fiom-Cgil, “all’inizio con una quota del 50% per poi salire al 60% entro giugno 2022, è importante. E’ positivo che lo Stato entri negli asset strategici dell’industria di questo Paese, a partire dalla siderurgia: è una garanzia e una scelta di politica industriale. Lo Stato non deve limitarsi ad un intervento di natura finanziaria”.
La trattativa, lamenta il sindacati, sta andando avanti esclusivamente tra Governo e ArcelorMittal e sono necessari ulteriori 10 giorni per firmare l’intesa definitiva, dopo la lettera di intenti. “Sono ancora insufficienti però le informazioni in nostro possesso”, spiega Francesca Re David, “in particolare quelle che riguardano gli aspetti legati al piano industriale di cui sono state anticipate soltanto le linee generali. Secondo tali linee si dovrebbe realizzare nell’arco temporale che va dal 2020 al 2025 una ridefinizione degli aspetti impiantistici con l’introduzione di un ciclo misto di produzione dell’acciaio da forno elettrico e da altoforno con l’affiancamento di piattaforme per la produzione di preridotto”.
Questo assetto impiantistico, secondo i calcoli della Fiom, dovrebbe garantire un volume di produzione di 8 milioni di tonnellate a regime e 10mila e 700 addetti. “Ciò comporterebbe”, ricorda la segretaria generale Fiom-Cgil, “l’utilizzo della cassa integrazione per un massimo di 3mila unità nel 2021, di 2500 nel 2022, di 1200 nel 2023, e zero nel 2024. È evidente che questa ipotesi è lontana dall’accordo sindacale del 6 settembre 2018, in cui è previsto il vincolo occupazionale anche per i 1700 lavoratori in amministrazione straordinaria, e che i tempi della transizione per il completamento del piano industriale al 2025 sono difficilmente sostenibili sia per quanto riguarda il numero di lavoratori interessati sia per gli attuali livelli di copertura salariale previsto dagli ammortizzatori sociali”. Inoltre non ci sarebbe il tempo necessario per verificare la sicurezza sui luoghi di lavoro.
“Peraltro tempi così lunghi di implementazione del piano industriale”, conclude Francesca Re David, “non sono compatibili con una condizione degli impianti e degli stabilimenti in cui cresce l’insicurezza dovuta alla mancanza di investimenti sulla manutenzione ordinaria e straordinaria come dimostra anche il crollo della “torre faro” a Genova. È chiaro che se il 10 di dicembre si dovesse pervenire alla firma definitiva dell’accordo di coinvestimento si aprirebbe l’avvio di una trattativa con il nuovo soggetto. Per quanto ci riguarda l’accordo sindacale non potrà prescindere dalla piena occupazione in tempi e modalità sostenibili”.