giovedì, 25 Aprile, 2024
Politica

Palamara e l’Anm. I messaggi in codice e le minacce. Il sistema si blinda o fa pulizia?

Ha ragione Franco Bechis, direttore de “Il Tempo” a titolare il suo giornale “Il Tonno espiatorio”, riferendosi alla cacciata di Palamara da parte dell’Anm.

Se mettiamo insieme, colleghiamo, la strana e inconsueta velocità dell’organo dei magistrati nel risolvere la delicata e fastidiosa faccenda dell’ex “burattinaio delle toghe”, e le frasi del ministro della Giustizia Bonafede, c’è da pensare.
Il ministro grillino, già al centro del caso-Di Matteo, scampato per poco alla sfiducia, grazie al salvataggio di Iv, ha dovuto salvare capra e cavoli. Capra immagine e cavoli pentastellati. Se è vero come è vero che il Movimento ha fatto della questione-giustizia, della moralizzazione della vita pubblica, della lotta agli sprechi della politica, il proprio elemento distintivo elettorale, Bonafede e soci giallorossi non avrebbero potuto permettersi una figuraccia proprio su un loro principio non negoziabile. E non a caso ieri ha detto che la vicenda va superata (una delle ultime intercettazioni di Palamara ha fatto capire il tasso di odio ideologico anti-Salvini); andrà superata con “una grande riforma della giustizia”. Come dire, alziamo il tiro, più che fermarci ai dettagli.

E la stessa Amn non è stata da meno: forse troppi scheletri negli armadi? Il comitato direttivo centrale del sindacato ha votato all’unanimità l’espulsione di Palamara, con una sola astensione.
Un atto immediato e unilaterale. Inutile la difesa del diretto interessato. Palamara aveva chiesto di essere sentito o di depositare memorie per chiarire la sua posizione, ma questa sua istanza è stata respinta, anche questa, all’unanimità dal “parlamentino” dell’associazione.
A parziale scusante, lo statuto che in questi casi, prevede che la sede per eventuali dichiarazioni sia solo il Collegio dei probiviri.

La contestazione, come noto, mossa a Palamara riguarda l’episodio dell’incontro in un albergo romano con i consiglieri del Csm (poi, dimissionari), Luigi Spina, Corrado Cartoni, Gianluigi Morlini, Paolo Criscuoli e Antonio Lepre, e i politici Luca Lotti e Cosimo Ferri, per discutere di nomine ai vertici delle principali procure italiane, in primo luogo, quella di Roma. Tutti i magistrati coinvolti l’anno scorso, sono stati deferiti ai probiviri. Criscuoli è stato sospeso per 5 anni dall’Anm. Deciso invece, “il non luogo a procedere” per gli altri.
Ma l’argomento che interessa è la difesa mediatica minacciosa di Palamara: “Pago colpe di tutti”, “Sembra di stare al tempo della Santa Inquisizione”, “Colpiscono solo me, la verità presto verrà fuori”. Paventando il momento in cui il vaso di Pandora sarà scoperchiato.

Le sue ultime parole, infatti, sono emblematiche. Decodifichiamo. Se Palamara è stato un pezzo di un sistema malato e decomposto, col correntismo e le scelte delle poltrone, praticati come regola istituzionale e comunemente accettata e condivisa, o si colpisce e pulisce tutto l’impianto, o avviene il contrario: il sistema fa quadrato e si blinda. Attuando una parziale opera di rinnovamento e trasparenza che diventa inesorabilmente parziale. Tradotto, fumo negli occhi (questo è il rischio). E qui si comprende il titolo de “Il Tempo”: “Il tonno espiatorio”, alias, il capro espiatorio.

Lo scontro tra le istituzioni che si chiudono e gli accusati che minacciano di fare nomi, di far saltare il banco, è vecchio come la storia. I registi, i protagonisti e i comprimari dei meccanismi corrotti e lottizzati, per consuetudine si ricattano vicendevolmente. Così è stato per la Loggia P2, così per il terrorismo, per le mai scoperte verità sulle stragi di Stato, la stagione degli opposti estremismi, il rapimento e la morte di Moro, gli intrighi internazionali, il patto Stato-mafia, Falcone, Borsellino etc. Così è stato per la fine della prima Repubblica, quando Tangentopoli, il finanziamento pubblico dei partiti, svelò la corruzione partitocratica, decapitando un’intera classe dirigente (Dc e Psi), e aprendo le porte alla seconda Repubblica. Pure lì pagarono solo alcuni, in primis Craxi, e la Cupola si chiuse salvando molti altri.

Lapidario Palamara (messaggio in codice): “Ho fatto parte del sistema, quel sistema che ora mi condanna. Ma voglio essere chiaro, non ho mai agito da solo”.
Più chiaro di così. Si muore o si finisce male.

L’augurio è che la magistratura (in gran parte pulita), specchio delle istituzioni, possa e debba ritrovare lo smalto, la forza e la trasparenza del suo ruolo, evitando le troppe somiglianze e contiguità con gli aspetti più negativi della politica. E sperando in un maggiore interventismo del capo dello Stato che non può rimanere indifferente su un’emergenza-giustizia come la nostra.

(Lo_Speciale)

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