mercoledì, 24 Aprile, 2024
Politica

Il faro della Prima Repubblica può ancora esserci di aiuto

Al Paese serve una classe dirigente vera, si torni ai partiti che sapevano selezionare le personalità migliori per le istituzioni e l’economia. Basta con le risse mediatiche e le manipolazioni social. Ascoltiamo un grande giurista come Bobbio: no alle semplificazioni serve equilibrio, impegno e soprattutto competenza.

elle società complesse come quelle democratiche – dove ci sono idee e opinioni contrastanti -, ogni nostra azione dovrebbe essere commisurata a questa ampiezza di possibilità per affrontare e risolvere problemi. Siamo di fronte a sfide crescenti dove in ballo non ci sono solo governi o maggioranze politiche da buttare giù o da costruire, ma c’è una società intera, una umanità fatta di persone, di famiglie, di giovani di anziani, di imprese e mondo produttivo che pongono domande, sono vite e aspettative democratiche di partecipazione che devono essere non solo rispettate ma valorizzate. Sono i presupposti della convivenza civile – senza dover scomodare grandi teorie politiche e sociologiche – a noi basta l’esempio del grande filosofo giurista del 900, Norberto Bobbio che ci ha indicato la via maestra di una società libera e democratica, che ha i suoi valori nella giustizia, nel rigore morale, nella lotta ai dogmatismi, ai fanatismi per promuovere quell’impegno civile necessario ad una società per crescere e progredire nella pace e nello sviluppo. Per raggiungere questi obiettivi servono le idee, un confronto aperto, e soprattutto persone capaci di dialogare e decidere.

Serve, in altre parole, una classe dirigente che sappia raccogliere dalla società le proposte migliori per concretizzare nelle istituzioni, ossia farne leggi, progetti, realizzazioni. Una società complessa ha necessità di una classe dirigente aperta e tenace, che sia in sintonia e si formi con i cittadini, capace di dialogare e confrontarsi con loro. Possiamo dire che oggi abbiano tutto questo? Oppure annaspiamo in pulsioni irrazionali, dove vincono l’approssimazione, lo scontro tra fazioni con le loro tifoserie? Dove il calcolo irrazionale della polemica serve a demolire ogni ragionamento e invito alla coesione nazionale? Siamo infatti in una caduta libera di una società che non riesce a far vivere e concretizzare quei valori, quei interessi, diritti e richieste che vengono dai cittadini. Il motivo è semplice, non esiste più una selezione della classe dirigente, di quella politica e, se vogliamo anche di quella economica. Si arriva ai punti nevralgici i delle istituzioni o nei ruoli di governo da percorsi diversi, scorciatoie mediatiche, da imposture social – che come abbiamo visto sono vulnerabili ad ogni distorsione e riduzione della realtà a pura manipolazione -, più si manomette la realtà più si ottengono like virtuali. È un male che ha contagiato la politica. I risultati sono evidenti dal momento che il cittadino non sa quale siano gli obiettivi o i valori di uno schieramento politico rispetto all’altro. Tutto perde senso tanto che la stessa dialettica politica viene travolta da opinioni che durano lo spazio di una giornata.

Il tempo di passare da una polemica all’altra. Il sospetto che dietro questa caduta ci siano interessi colossali è evidente. Una nazione che non ha una classe dirigente, che non è animata da valori fondanti di coesione, si sfalda ed è preda di Capitani di Ventura di ogni risma. Oggi ci aggrappiamo a personalità di assoluto rigore come il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che ci invita alla coesione e collaborazione istituzionale, confidiamo ancora in alcuni politici che ragionano e credono che sia possibile coniugare onestà e impegno fuori dai riflettori, ci piace citare un nostro amico e sostenitore come l’onorevole Gianfranco Rotondi, di scuola DC, ossia di quella formazione di partiti nati nel ‘900 come Psi, Pci, o i partiti liberali come PLI, PRI, fondati su idee e visioni della realtà di partecipazione dei cittadini: c’erano, infatti, assemblee, c’erano convegni, congressi locali, regionali e nazionali; incontri, dibattiti, Centri studi che elaboravano strategie e davano sostegno all’azione dei parlamentari; c’era un confronto costante sulle linee di azione, sulle realizzazioni concrete, sulla capacità di essere più bravi nel realizzare. C’era un impegno che sfociava spesso anche in una dialettica dura, fatta di contrasti istituzionali, di scelte difficili ma alla fine a progredire era il Paese. Era quell’insieme di percorsi personali, dei partiti e di una società politica definita dagli storici come “Prima Repubblica”, tuttavia, per quanto ci sforziamo in questi anni di apprezzare le seconde e terze Repubbliche che si sono avvicendate, bisogna ammettere che queste ultime sono solo fantasmi della prima, tentativi mal riusciti di trovare altre vie. Per noi la strada maestra rimane la politica intesa come valori condivisi, come esperienze che nascono dalla realtà e non dalle logiche matematiche degli algoritmi.

La Prima Repubblica è stata abbattuta perché forze oscure, ambizioni esterne all’Italia, capricciosi protagonismi, spallate mediatiche giudiziarie ne hanno voluto decretare il suo tramonto, ma nella mente e coscienza dei cittadini e delle istituzioni democratiche quella Prima Repubblica è rimasta per l’Italia un faro di idee, progetti, realizzazioni. Oggi serve concretezza e realismo, devono tornare i partiti, deve tornare una vera classe dirigente, devono tornare con regole chiare e trasparenti i fondi per i partiti che sono associazioni democratiche fatte da cittadini e quindi previste dalla Costituzione. L’Italia può farcela con il ritorno in scena di persone preparate, che non consultano sondaggi e comunicatori, ma ascoltano i cittadini.

Al Paese serve una classe dirigente illuminata, aperta, libera, che sappia scegliere per il bene della Nazione. Altrimenti saremo costretti a vedere ancora per un bel pezzo lo spettacolo di risse, di spoliazione dei beni dello Stato, di interessi personali prevalere su quelli di tutti. A rischio oggi sono i beni che l’Italia può ancora vantare, le istituzioni, l’economia e la democrazia.

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