sabato, 27 Aprile, 2024
Agroalimentare

Con il “fotovoltaico verticale”, insieme agricoltura e energia

Valsassina di Confagricoltura Friuli: servono 5mila ettari per l’agroenergia

Dalle agroenergie, dal fotovoltaico e dall’agrivoltaico arriverà un aiuto decisivo al futuro energetico e dell’agricoltura nazionale. Ma la burocrazia e l’incertezza normativa rischiano di far stroncare le opportunità. In Italia ci sono tutti i presupposti per raggiungere la neutralità carbonica prevista dalle norme europee entro il 2050, aumentando la produzione di energia da fotovoltaico (e dal nascente agrivoltaico) e da biomasse. Lo hanno sostenuto Philip Turn Valsassina, presidente Confagricoltura del Friuli Venezia Giulia con Maro Tam e Eros Miani rispettivamente del gruppo Greenway e di Fototherm, durante un incontro sulle “agroenergie” durante il quale è stata rilanciata l’installazione sui campi agricoli di pannelli fotovoltaici “verticali”.

Fotovoltaico verticale

Si tratta, appunto, di una tecnologia innovativa che permette di rendere compatibili su uno stesso terreno le coltivazioni agricole e la produzione di energia, avendo, comunque, una resa paragonabile a quella dei panelli messi a terra o installati sui tetti. In Friuli Venezia Giulia, ad esempio, è stato stimato che basterebbe destinare circa 5mila ettari a fini energetici (circa il 2/3 per cento del totale dei terreni coltivabili) per raggiungere l’obiettivo della totale decarbonizzazione al 2050 come previsto dagli obiettivi europei. Il problema, hanno spiegato i relatori, non sono le tecnologie che sono ampiamente disponibili, con rese in continuo miglioramento e a prezzi calanti, ma l’incertezza normativa, le scadenze dei bandi troppo ravvicinate rispetto ai tempi di realizzazione medi degli impianti e una burocrazia ancora molto lenta e pesante.

Mix energetico

Il mix fra energie rinnovabili e attività agricole è sostenuto da Philip Thurn Valsassina, presidente di Confagricoltura Fvg e imprenditore agricolo: “il mix energetico fra fotovoltaico, biomasse, eolico e idroelettrico, potrà sicuramente permettere di raggiungere gli obiettivi al 2050. Un esempio nella nostra regione è venuto quest’anno dagli impianti a biomasse che hanno potuto utilizzare (e pagare agli agricoltori) le coltivazioni danneggiate irreparabilmente dalle violente grandinate di qualche settimana fa e che erano diventate invendibili sui normali mercati agricoli. Un altro esempio, soprattutto per certi tipi di produzioni, può arrivare dal promettente sviluppo, anche se ancora in fase iniziale, dell’agrivoltaico, che potrebbe permettere di coniugare produzione agricola e produzione energetica”.

Satelliti e droni per coltivare

Nei prossimi anni, hanno spiegato i tre relatori, ci saranno grandi trasformazioni conseguenti all’avanzamento tecnologico e informatico con l’utilizzo di satelliti e droni per il controllo e la gestione dei campi, di robot per svolgere attività che oggi sono ancora prevalentemente manuali, di sistemi di micro-irrigazione e di mezzi meccanici sempre più efficienti, che porteranno a una diminuzione nelle aziende agricole del personale despecializzato e a una contestuale assunzione di un numero crescente di tecnici specializzati e laureati. Al contempo si assisterà a un aumento della dimensione media delle aziende agricole, soprattutto se dedicate alla produzione di seminativi e a una specializzazione delle piccole aziende su prodotti ad alta resa e che non necessitano di grandi estensioni (ad esempio i piccoli frutti e le produzioni orticole) o su colture di nicchia, ma redditizie come le coltivazioni biologiche.

Biometano, pastoie burocratiche

Marco Tam, presidente di Greenway, azienda che possiede impianti a biomasse e diverse attività agricole ha ribadito che “il problema principale per tutte le produzioni energetiche rinnovabili non sono le tecnologie, ma le pastoie burocratiche e l’incertezza normativa. Un esempio viene dalle previsioni del 40% di finanziamenti a fondo perduto per gli impianti di biometano, che vuol dire associare a un impianto a biomasse una “mini raffineria” che consenta di estrarre il biometano, per i quali è stato previsto che gli impianti debbano essere completati entro il 2026, il che, considerato che un impianto richiede un investimento di almeno 3 milioni di euro (al netto del finanziamento) e tempi di partecipazione ai bandi, autorizzativi e costruttivi decisamente lunghi, è un’impresa quasi impossibile da portare a termine”.

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