sabato, 20 Aprile, 2024
Salute

Tumore alla mammella, 10% diagnosi già in fase metastatica

Nel 2019, in Liguria, sono stati stimati 1.650 nuovi casi di tumore della mammella. È la seconda neoplasia più frequente nella Regione nella popolazione generale e si colloca dopo il cancro del colon-retto (1.750) e prima del carcinoma polmonare (1.550). L’87% delle pazienti (sia in Italia che in Liguria) è vivo a 5 anni dalla diagnosi, percentuale che supera il 90% quando la malattia è scoperta negli stadi iniziali.

“La Liguria è stata una delle prime Regioni italiane ad istituire le Breast Unit – spiega Giovanni Ucci, Direttore Generale dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova -, unità funzionali che garantiscono percorsi di diagnosi e cura ottimali e che sono essenziali per garantire il raggiungimento di risultati quali l’elevata percentuale di pazienti libere da malattia a distanza di anni dalla diagnosi iniziale”.

“Nonostante l’elevata percentuale di guarigione, essendo il tumore più frequentemente diagnosticato in Italia in tutta la popolazione – aggiunge Antonio Uccelli, Direttore Scientifico IRCCS Ospedale Policlinico San Martino -, è importante l’impegno di tutti gli Istituti in termini di ricerca clinica per migliorare ulteriormente questi risultati. In particolare nell’ospedale San Martino, ogni anno oltre 2.000 pazienti entrano a far parte di sperimentazioni cliniche, contribuendo in tal modo al miglioramento delle conoscenze e degli standard di trattamento”.

Nonostante questi importanti risultati, circa il 10% delle nuove diagnosi avviene già in fase metastatica. “In questi casi, un tempo, vi erano poche opzioni, oggi grazie alla ricerca non è più così – spiega Lucia Del Mastro, Responsabile della Breast Unit dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino -. Il carcinoma mammario metastatico infatti è una malattia che, in molti casi, è possibile mantenere sotto controllo per periodi molto lunghi, risultati impensabili solo un decennio fa. Oggi abbiamo diverse armi a disposizione, dalla chemioterapia all’ormonoterapia alle molecole a bersaglio molecolare fino all’immunoterapia”.

“In alcuni tipi di tumore della mammella (15-20%) una proteina, HER2, è presente in quantità eccessiva, causando così una crescita rapida e incontrollata delle cellule malate – afferma Del Mastro -. Dal punto di vista biologico, è una delle forme più aggressive e, in passato, non essendoci armi disponibili, queste pazienti presentavano la prognosi peggiore. Oggi invece, grazie a terapie mirate che bloccano il recettore HER2, è cambiato radicalmente il decorso clinico”. La sopravvivenza mediana globale della malattia metastatica in Italia (per le donne trattate dal 2004 al 2012) supera i 4 anni. Al recente Congresso di San Antonio sono stati presentati alcuni importanti studi che riguardano proprio le forme HER2 positive e che sono verosimilmente destinati a determinare un ulteriore miglioramento della prognosi delle pazienti HER2 positive.

“Pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica New England Journal of Medicine, lo studio su una nuova molecola, tucatinib, inibitore orale di HER2, ha dimostrato particolare efficacia nelle pazienti con metastasi cerebrali, presenti in circa il 50% dei casi di malattia metastatica – afferma Carmine De Angelis, ricercatore dell’Università di Napoli Federico II e Professore del Baylor College of Medicine di Houston -. Sono state coinvolte oltre 600 donne, che avevano già ricevuto in precedenza in media tre trattamenti.

La sperimentazione ha confrontato la terapia standard (capecitabina e trastuzumab) rispetto a quest’ultima associata a tucatinib. Sono stati significativi i miglioramenti sia della sopravvivenza libera da progressione che della sopravvivenza globale”.

“A 2 anni dall’ingresso nello studio, il 45% delle pazienti trattate con tucatinib era vivo rispetto al 27% con la terapia standard – continua De Angelis -. La molecola potrebbe trovare applicazione nella pratica clinica in particolare nella prevenzione delle metastasi cerebrali. A un anno, infatti, il controllo di malattia a livello cerebrale è stato osservato nel 25% dei casi trattati con tucatinib rispetto allo 0% dei casi trattati senza tucatinib con la terapia standard”.

Anche un secondo studio (Destiny-Breast01, di fase II) è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine e riguarda trastuzumab deruxtecan, un nuovo anticorpo coniugato, cioè una molecola che nasce dall’unione di un anticorpo monoclonale (trastuzumab) con la chemioterapia (deruxtecan). “Si tratta di una terapia molto potente, che è in grado di inviare 8 molecole di chemioterapico per ogni anticorpo, agendo non solo sulla cellula tumorale che costituisce il bersaglio ma anche su quelle vicine – sottolinea Del Mastro -.

Lo studio ha coinvolto 184 persone, che avevano già ricevuto in precedenza in media sei trattamenti (da 2 fino a 27). Il farmaco ha evidenziato risposte obiettive in più del 60% dei casi, con una conseguente riduzione del tumore. Si tratta di un risultato clinico mai osservato in un sottogruppo di pazienti così pesantemente pretrattato, che ha esaurito tutte le terapie standard. Nel 97,3% dei casi la malattia non è progredita (controllo di malattia), con una sopravvivenza mediana libera da progressione di 16 mesi”. (Italpress)

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