mercoledì, 24 Aprile, 2024
Il Cittadino

Steccato di Cutro: naufragio burocratico

Il Consiglio dei Ministri tenuto a Cutro, praticamente su un unico argomento all’ordine del giorno, ha suscitato numerose e non inaspettate polemiche.

Vi tranquillizzo: non intendo entrare nel merito delle stesse, rifuggendo dalla demagogia che ispira sia le critiche, che la difesa del Governo Meloni.

Il quale, consentitemi di annotarlo, ha poche colpe nel naufragio degli sventurati profughi afghani, un centinaio di persone (73 cadaveri trovati; una trentina di dispersi) morte solo perché chiedevano all’Europa, la principale democrazia del mondo, che gli venisse riconosciuto il diritto di vivere. Ma che, consentitemi di esprimere anche questo, ha colpe indicibili nella gestione della crisi seguita al naufragio e nel rimedio proposto da Cutro: un inasprimento delle pene, che – credo di averlo affermato tante volte in questi quattro anni e mezzo della mia rubrica – storicamente non ha mai avuto l’effetto di contrastare un fenomeno criminale, ma solamente di calmare i livori di linciaggio, emanazione della violenza e aggressività della “folla”, che ha una sua propria psicologia, distinta dagli individui che la compongono ed oggetto di studi particolari.

Un rimedio, insomma, che non risolve nulla, ma che rassicura: vediamo, adesso che la pena è di trent’anni, chi avrà il coraggio di traghettare irregolari verso l’Italia. Un discorso che una volta sarebbe stato di destra (e lo è); ma che oggi è un modo di ragionare anche della sinistra (che dal mio opinabilissimo punto di vista non è più tale, da quando ha scoperto che si può fare politica col potere giurisdizionale).

Ciò che trovo orripilante è che – escluso il Presidente Mattarella che si è recato a Cutro in visita privata, rendendo un commosso e silenzioso omaggio alle vittime del naufragio e la solidarietà italiana ai superstiti – da ogni parte si sia analizzato il naufragio in termini burocratici.

Discorsi (forse con l’unica eccezione dell’intervento al Senato di Matteo Renzi) preparati a tavolino da burocrati, con l’occhio più al regolamento, alla circolare e al cavillo giuridico, che alla dimensione inenarrabile di una tragedia immane, consumatasi a pochi metri dalla riva.

Tutte tesi burocraticamente sostenibili, sorrette da norme finalizzate a rendere opachi i comportamenti e non immediatamente individuabili le responsabilità, distinguendo le varie fasi dell’operazione con sigle misteriose, ad ognuna delle quali è legata una possibile giustificazione: perché da ognuna di esse, da ogni singolo passaggio deriva il successivo intervento: se l’operazione è qualificata di polizia (competenza in mare della Guardia di Finanza, se non ho capito male, tra norme sempre fumose), per carità che la Guardia Costiera stia ferma in porto, qualsiasi cosa stia capitando tra i flutti.

In agguato la commissione di reati speciosi, con l’abuso d’ufficio che non si nega a nessuno, con l’attesa di un’autorizzazione che dipende da altro. Non ho dubbi che se qualcuno – chiunque, anche il titolare di uno yacht privato – si fosse mosso prima di un allarme ufficiale ed avesse salvato quelle disgraziate persone, avrebbe poi dovuto fare i conti con la giustizia italiana.

Ma, come sempre, non me la prendo col giudice: questi applica la legge che il legislatore gli ha dato.

La responsabilità è del legislatore. Nella specie nei provvedimenti adottati dal Governo Conte 1 in poi, che hanno limitato (fino ad escluderle) le funzioni di polizia in mare della Guardia Costiera; condizionato gli interventi di questa a dichiarazioni di emergenza e ad un ordine di salvataggio emanato da altri corpi; stabilito, insomma, nuove regole di ingaggio. Regole burocratiche, con decisioni vagliate da funzionari anziché da uomini d’azione. In ciò sta la tragedia di Cutro, conseguenza di una burocrazia che imbavaglia tutto ciò in cui si imbatte.

Venerdì pomeriggio la Guardia Costiera e la Marina Militare italiana sono intervenute in soccorso di circa 1.300 persone su imbarcazioni alla deriva proprio nel tratto di Mar Ionio, teatro del naufragio di Cutro. Tre motovedette operando a circa 70 miglia a sud di Crotone hanno soccorso una imbarcazione alla deriva salvando le circa cinquecento (500!!!) persone a bordo; contemporaneamente altri mezzi della G. C.  e la Nave Dattilo, poco più a sud, al largo del Porto di Roccella, stanno salvando altri due barconi alla deriva con altre ottocento (800!!!) persone.

Segno evidente che la tragedia di Cutro ha avuto l’effetto di sburocratizzare (almeno in questa immediatezza) le operazioni della Guardia Costiera la cui competenza, abnegazione e capacità è fuori discussione: un corpo militare cui tutti gli italiani devono essere grati per la funzione svolta ora e nella sua storia, in grado di portare a termine nel migliore dei modi qualsiasi operazione in mare.

La burocrazia, nessuna legge, nessun regolamento, potrà mai evitare i disperati viaggi verso la speranza di una possibilità di vita.

Sento vaneggiare nel sottofondo del nostro vivere quotidiano, costituito dal continuo cicaleccio dei talk show politici, che si dovranno fare regolamenti per consentire agli emigranti di arrivare in Italia con documenti regolari e con un biglietto meno costoso del prezzo preteso dagli scafisti.

Mi sembra veramente un discorso allucinato: ci sarà sempre qualcuno che in un palazzo in fiamme, pur di non morire bruciato si getterà dal balcone: con la consapevolezza che probabilmente con quel salto incontrerà la morte, ma con una speranza, vaga, vaghissima, di salvarsi.

L’unica mia consolazione è l’accoglienza umana che i miei corregionali calabresi, indistintamente tutti, in forza di un fortissimo ed antico sentimento di umanità e di civiltà, come sempre hanno fatto, riserveranno a tutti i naufraghi che giungeranno sulle nostre coste.

Versando il vino e spezzando il pane, come una vecchia canzone che nei miei anni verdi era considerata di sinistra.

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un commento

Nicola Cerqua domenica, 12 Marzo 2023 at 10:21

I tuoi articoli sono sempre interessanti e vale la di leggerli

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