L’appuntamento è per il 19 gennaio, data indicata dal Governo ai sindacati per un primo faccia a faccia su pensioni e lavoro. Due temi intimamente intrecciati i cui nodi devono essere sciolti per dar luogo a riforme che diano certezze e tutele a milioni di cittadini.
L’Esecutivo con la ministra del lavoro Marina Calderone – che propone di discutere misure più ampie – e i sindacati, i punti di contrasto sono numerosi. In primo luogo il tema delle scarse risorse disponibili unito
alla prudenza del Governo nel valutare gli impegni di spesa per un 2023 che si annuncia ancora difficile e carico di incognite. Nel contempo Cgil e Uil, in netto contrasto con il Governo e la Cisl che sono su posizioni dialoganti, sollecitano impegni concreti e vere riforme, al posto di bozze e aggiustamenti che per i sindacati rischiano di rompere una stabilità nelle fasce sociali più deboli oggi già compromessa da inflazione e caro energia. Uno scenario problematico denunciato anche dalle Associazioni di categoria che temono forti contraccolpi negativi in particolare per le micro e piccole imprese in affanno su tasse, credito e utili.
Pensioni e lavoro, le difficoltà
Il primo nodo è un Paese che invecchia con un numero elevato di pensionati e assistiti con una forza lavoro che vede troppi precari e contratti a tempo determinato. Inoltre l’impennata della spesa pensionistica ha mandato in frantumi le ipotesi di contenimento della spesa. Il Governo finora impegnato nella maratona per l’approvazione della Manovra finanziaria, non ha fatto trapelare quali saranno nel merito gli obiettivi delle riforme di previdenza e lavoro. A grandi linee, tuttavia, l’Esecutivo prevede di dare un assetto definitivo alle
regole per la pensione avendo una gittata temporale ampia, – superato lo scoglio del ripristino della legge Fornero – nel 2023 saranno attuare le prime misure da inserire poi nella prossima manovra e, secondo gli
analisti, avviare nel 2024 la riforma per giungere al suo completamento prima della fine della legislatura.
Le indicazioni del Governo
L’impegno del Governo può essere sintetizzato con alcune mosse fondanti per la nuova previdenza. Ad esempio arrivare a Quota 41 secca entro il 2026, al termine di un breve percorso segnato da Quote flessibili. Quindi si potrà andare in pensione con 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età. Nella Legge di Bilancio 2023 appena approvata invece è prevista Quota 103, che consente di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica, mentre per chi decide di restare al lavoro è stato
rifinanziato il bonus Maroni che prevede una decontribuzione del 10%.
Sempre nelle traiettorie del Governo c’è l’impegno a ridurre la tassazione sui fondi pensione ed, eventualmente, ricorrere a una nuova fase di “silenzio-assenso” per la destinazione del Tfr alle forme
integrative. Inoltre l’obiettivo è dare luogo a un percorso a tappe per giungere a una separazione delle voci pensionistiche da quelle assistenziali. C’è poi il tema delle professionalità introvabili e della possibilità di rimanere al lavoro, in questo caso si prevede di calibrare alcuni incentivi per rinviare le uscite. Tema impellente, inoltre, sul quale puntano i sindacati è quello garantire una “copertura previdenziale” dei giovani, anche attraverso il riscatto agevolato della laurea, e bonus per le lavoratrici madri.
Le stime per il 2023
Intanto sono rese note le stime dell’attuale meccanismo, che andranno in vigore dal 1° gennaio 2023 con Quota 103. Con il prossimo anno si potrà andare in pensione a 62 anni d’età e almeno 41 anni di contributi. Con le misure “ponte” previste dalla Legge di Bilancio del Governo Meloni, si calcolano fino a 64mila uscite. Oltre i due terzi dovrebbero essere collegate all’introduzione della nuova Quota 103, per la quale è
ipotizzata una platea potenziale di 41.100 soggetti. Altre 20mila dovrebbero essere alimentate dalla proroga per 12 mesi dell’Ape sociale con gli attuali requisiti. Sono tuttavia come osservato soluzioni “ponte” ma trovare una definitiva quadratura con le esigenze dei sindacati non sarà facile.
L’impennata dei costi
Al prossimo confronto di gennaio attorno al tavolo della trattativa ci sarà un ospite scomodo,: l’impennata della spesa pensionistica, spinta dalla corsa dell’inflazione. I costi per il 2023 sono già stimati, è infatti prevista una crescita dell’8,1% (contro il 3,9% del 2022) aumento che salirà nel 2024 del 7,5%, tradotto in cifre si passerà ad una spesa pensionistica dagli attuali 297,3 miliardi di euro, rispettivamente, a 321,3 e poi a 345,3 miliardi di euro. Inoltre l’Esecutivo dovrà fare i conti con le osservazioni e il monitoraggio dell’Unione che segue con particolare attenzione l’andamento della spesa previdenziale.
Le ipotesi e le scelte
I sindacati hanno una visione radicalmente diversa. In primo luogo sollecitano la necessità di garantire maggiore flessibilità in uscita al sistema previdenziale prevedendo anche la possibilità di pensionamento a
62 o 63 anni. Compensazioni e vie d’uscita flessibili tra l’altro da assicurare ad alcune categorie di lavoratori, compresi quelli impegnati in attività usuranti che dovrebbero essere interessati anche da una rivisitazione della platea. Altra questione, su cui però c’è una intesa, è la possibilità di “alleggerire” la tassazione sui fondi pensione. Il prelievo fiscale applicato attualmente sulla rendita delle forme integrative è del 15%, e scende al 9% solo in alcuni particolari casi. Nelle intenzioni dell’esecutivo l’asticella dovrebbe scendere di almeno il 2-2,5 per cento. Sarà poi valutata, secondo le nuove ipotesi, la richiesta di Cgil, Cisl e Uil di avviare una nuova fase di “silenzio-assenso” per destinare il Tfr alla previdenza complementare. Questione aperta e che entrerà nel confronto è la ”copertura previdenziale”. E in questo ottica si colloca l’idea di agevolare ulteriormente il riscatto della laurea.
Cgil all’attacco
Nel sindacato ci sono per ora posizioni diverse. Critiche trancianti arrivano dalla Cgil. “Degli impegni assunti dal Governo sulle modifiche in tema previdenziale non si vede traccia”, contesta il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, “Sulla rivalutazione delle pensioni, il taglio continua a essere pesante: 3,5 miliardi in meno nel solo 2023, 17 miliardi in meno nel triennio. La rimodulazione della percentuale di rivalutazione, che alza dall’80% all’85% le pensioni tra 4 e 5 volte il trattamento minimo, è insignificante: 8 euro lorde al
mese in più di media. E si riduce ancora del 3% la percentuale per i redditi di pensioni superiori a 5 volte il trattamento minimo. Stiamo parlando non della pensione dei ricchi, come ha sostenuto la presidente
del Consiglio, ma degli assegni di impiegati e operai specializzati che hanno lavorato e versato contributi per 40 e più anni. Su opzione donna, nessun cambiamento. Un’abrogazione, di fatto, della misura. Riguarderà
appena 870 persone, secondo le nostre analisi”. La Uil allarga anche il campo delle critiche. “Gli interventi sul fisco contenuti nella legge di bilancio approvata dalla Camera sono profondamente iniqui e ingiusti per i lavoratori dipendenti e pensionati”, sottolinea il segretario confederale Domenico Proietti, “Non c’è, infatti, un taglio significativo delle tasse per questi soggetti, che sono i più fedeli contribuenti, mentre con la flat tax fino a 85.000 euro si premia ulteriormente il lavoro autonomo”.
Uil, attesa per il confronto
A dare una indicazione delle cose da realizzare è il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri.
“Vedremo cosa farà il Governo, al quale abbiamo chiesto di avviare, dopo la manovra, un confronto sui grandi temi del lavoro, del welfare e del fisco. C’è un problema di sicurezza sul lavoro, di troppa precarietà e di recupero del potere d’acquisto di salari e pensioni. Ecco perché noi abbiamo chiesto, tra l’altro, un intervento più deciso sul cuneo fiscale, oltre a una detassazione delle tredicesime e degli aumenti
contrattuali. E per reperire le risorse”, sollecita, Bombardieri, “ricordiamo che si possono e si devono tassare gli extraprofitti da capogiro, maturati dalle società energetiche e non solo. Questo, purtroppo, non è accaduto. Anzi, è stato ridotto il numero delle aziende coinvolte, da 11mila a 7mila, con conseguente riduzione del gettito, a bilancio, da 14 a 2 miliardi. Speriamo che nel prossimo anno”, conclude il leader della Uil, “ci sia la possibilità di affrontare tutti questi temi, per ridare fiducia e speranza al nostro Paese”.
Cisl, giudizio “articolato”
“È una manovra in più parti condivisibile e migliorata grazie al dialogo sociale e alle nostre proposte”, commenta il segretario nazionale Luigi Sbarra , che chiede comunque, “un confronto sulla riforma fiscale e un patto anti-inflazione per rilanciare i redditi di lavoratori, pensionati, famiglie, una riforma fiscale e di un confronto serrato su pensioni, sicurezza, politiche industriali e sociali, lavoro e Piano nazionale di ripresa”.02
2 commenti
Ringrazio il giornale per l’attenzione data ad opzione donna noi abbiamo bisogno di voi giornalisti che facciate rumore perché la politica ha deciso di imbavagliare tutte le donne e le problematiche delle donne peccato che in ogni famiglia o che ogni famiglia si appoggi su una donna come ogni uomo si appoggia su una donna chiediamo giustizia chiediamo voce vogliamo opzione donna per vent’anni l’abbiamo avuta e adesso la vogliamo ancora!!!
Opzione Donna strutturale !!! visto che i sindacati nazionali hanno timore nel menzionarne il concetto!! Opzione donna strutturale e finiamo di prendere in giro le donne o di fingere che possano continuare ad annegare se stesse!! Già lo facciamo per i figli per i mariti per la famiglia!!