sabato, 20 Aprile, 2024
Attualità

Una regia a Palazzo Chigi per governare i rischi

Ci troviamo – purtroppo – ad affrontare ancora una volta un tema molto delicato, che coinvolge i nostri territori e anche la loro endemica fragilità.

Esprimiamo solidarietà a quanti sono stati colpiti da questa (nuova) tragedia, che si sarebbe potuta evitare qualora i sistemi di prevenzione fossero stati rispettati e messi in esecuzione.

La nostra Carta costituzionale prevede che la tutela dell’ambiente sia demandata allo Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. d).

In virtù di tale principio è affidata, quindi, agli strumenti giuridici tipici la regolamentazione della prevenzione del rischio, nonché la creazione di modelli di ricostruzione del territorio, che garantiscano non solo certezza, stabilità e velocità dei relativi processi ma che assicurino anche la ripresa delle attività socio-economiche in quei territori colpiti da calamità naturali.

Tuttavia, lo scenario normativo con cui oggi ci confrontiamo è fatto di leggi troppo farraginose e tortuose, di procedure lente ed esasperanti che necessariamente implicano un ripensamento. Abbiamo bisogno di indicazioni chiare e concrete e di una politica con le istituzioni che si assumano finalmente le proprie responsabilità.

A tal proposito, le attività di mitigazione del rischio idrogeologico e sismico in seguito ad eventi calamitosi, come da molti sostenuto, dovrebbero essere affidate, ad un Dipartimento incardinato presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che, in ottica di governance multilivello, affianchi i livelli periferici – e cioè Regioni, Province e Comuni – nell’ambito della gestione delle risorse, dell’appalto delle opere e delle norme per la semplificazione e accelerazione delle procedure amministrative.

Non a caso, si parla già da tempo di dar vita ad un “Codice della ricostruzione”, informato a criteri di omogeneizzazione: dinanzi ad eventi calamitosi sarebbe necessario stabilire un equo trattamento da applicare ai territori colpiti.

Il disegno di legge avente ad oggetto il codice della ricostruzione si ispira a sei principi, sulla base del non arrecare un danno significativo all’ambiente: mitigazione dei cambiamenti climatici; adattamento ai cambiamenti climatici; uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine; transizione verso l’economia circolare, con riferimento anche a riduzione e riciclo dei rifiuti; prevenzione e riduzione dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua o del suolo; protezione e ripristino della biodiversità e della salute degli eco-sistemi.

Ulteriore fattore da tenere in considerazione, al fine di evitare tragedie come quella appena verificatasi ad Ischia, è la “lotta” all’abusivismo.

Premessa la personale contrarietà ai condoni edilizi, sarebbe opportuno stabilire dei criteri effettivi e diversificati per territorio, in applicazione dei quali razionalizzare la scelta del tipo di condono da concedere.

Nello specifico sarebbe opportuno diversificare le richieste nonché le destinazioni dei condoni: infatti, un conto è sanare una finestra o una tettoia, altra cosa è condonare intere costruzioni poste in zone altamente a rischio sismico o idrogeologico, esponendo così al pericolo chi vive in quei luoghi.

Certi confini non devono essere superati: in presenza di un abuso edilizio non sanabile dovrebbe scattare la tolleranza zero.

Quanto è accaduto agli ischitani non è una fatalità: conoscenza del territorio, consapevolezza delle sue particolarità e presa di coscienza dei limiti invalicabili possono, in questi casi, fare la differenza.

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