venerdì, 29 Marzo, 2024
Attualità

Comunicazioni: sovranità limitata? Il dubbio è legittimo

Gli strumenti collegati alle comunicazioni sono beni, ma sono anche beni gli apparati immateriali, che rendono possibile la diffusione delle notizie. E sono entrambi, ovviamente, beni pubblici, che devono necessariamente essere assoggettati al rigoroso regime della concessione. Sotto tale aspetto la nuova disciplina della materia crea qualche confusione, poiché talvolta fa riferimento a provvedimenti autorizzativi, quasi che tali provvedimenti accrescano la liberalizzazione, senza tener conto che l’attività di comunicazione deve essere ad un tempo liberalizzata e sottoposta a rigidi controlli, visto che essa involge interessi delicatissimi. Attraverso le comunicazioni, infatti, si possono ledere diritti della personalità, che magari, poi, verranno riparati, solo che sia la tutela privatistica che quella penalistica riescono a riparare il danno, ma non ad eliminarlo. Tutto questo accade, da un lato, poiché l’illecito civile, non è uno strumento utile ad eliminare il danno e, dall’altro, in quanto nel settore civilistico l’azione inibitoria, quanto meno fino adesso fino adesso ha avuto possibilità operative molto limitale.

Da qui, appunto, l’esigenza di adottare misure preventive, atte ad evitare la lesione dei diritti della personalità, attraverso una fitta trama di controlli, che solo l’autorità amministrativa può porre in essere. Sotto tale aspetto la normativa in esame forse è un po’ eccessiva: essa, infatti, ha assegnato competenze al Ministero dello Sviluppo Economico ed ha attribuito poteri di controllo ad un’apposita Autorità di settore ed ad altre due Autorità indipendenti già esistenti. La tecnica del proliferare delle Autorità mi solleva sospetti, anche perché i provvedimenti da esse adottati sono impugnabili davanti ai giudici.

È ben chiaro che le attività relative al servizio di informazione integrano la fattispecie del pubblico servizio. Ciò posto è ben noto che a tali servizi la nostra Costituzione riserva una specifica considerazione all’art. 43, il quale dispone che a fini di utilità generale la legge possa riservare originariamente o trasferire salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano, fra l’altro, a servizi pubblici essenziali. Da ciò mi sembra consegua che il decreto legislativo n. 259 del 2003 non sia del tutto in linea con la nostra Costituzione. Del resto, non è un caso che, tempo addietro, Stefano Rodotà, rendendosi conto della problematicità del settore in esame, avesse espresso l’idea che esso andasse aperto alla concorrenza in una prospettiva, però, permeabile ai valori della solidarietà.

Ma, torniamo a noi, è ben noto che la normativa comunitaria è ispirata ai principi del laissez faire, anche se in questo caso essa è stata permeabile ad uno spurio dirigismo. Ma una cosa è il dirigismo altra cosa è la riserva originaria o il trasferimento di impresa. È pur vero che ai principi comunitari ha dato veste formale un decreto legislativo, ossia una fonte normativa primaria, ma è evidente che essa può violare una fonte sovraordinata. È pur vero che l’Unione ha competenza in tema di concorrenza, nondimeno le comunicazioni non involgono solo problemi di concorrenzialità.

È probabile, dunque, che gli organi comunitari abbiano ritenuto che l’adozione dei principi in materia trovi il suo fondamento nell’art. 352 del TCE che riecheggia la formula schimittiana secondo cui è sovrano chi decide sullo stato di eccezione, a meno che l’Unione non ritenga di poter normare in qualsiasi materia, ivi comprese quelle in cui non ha competenza. Tale prescrizione si pone, peraltro, in contrasto con un altro principio fondamentale dell’Unione medesima, ossia con il principio di sussidiarietà, che dovrebbe indurre quest’ultima ad intervenire solo quando la normativa dei vari stati è insufficiente.

Ma vi è di più, la norma comunitaria appena richiamata si risolve in una limitazione di sovranità. Orbene, l’art. 11 della Costituzione dispone che l’Italia possa subire le limitazioni di sovranità solo se essa vi consente. Ora dove si può individuare in questo caso un consenso: forse nei trattati istitutivi dell’Unione o nel decreto legislativo con cui è stata data veste giuridica ai principi assunti dall’Unione in tema di comunicazioni? Senza contare che nella dinamica della norma richiamata le limitazioni di sovranità doveva essere funzionale ad assicurare la pace e la giustizia ed a favorire le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

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