venerdì, 29 Marzo, 2024
Attualità

Quando il Csm rese noti gli atti su Falcone e Borsellino

In ricordo della strage di Capaci

Nel trentennale della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vi sono innumerevoli celebrazioni in tutta Italia per onorare la loro memoria.

In tale ricorrenza, nella qualità di giurista, ex membro del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti nonché ex componente laico del Consiglio Superiore della Magistratura, sento fortemente il dovere di ricordare l’iniziativa del CSM, cui ho preso parte personalmente.

Ed infatti, nel corso della mia consiliatura (anno 2017) il Consiglio ha reso pubblici gli atti relativi ai rapporti tra Falcone e Borsellino e l’Organo di autogoverno della Magistratura: si tratta di atti che raccontano l’attività professionale dei due Magistrati Anti Mafia -oggi ricordati-, ma che all’epoca erano stati oggetto di non poche critiche e di ingenerosi attacchi personali.

L’attività del CSM ha contribuito ad integrare la memoria dei due Magistrati compiendo un coraggioso percorso di trasparenza per anni invocata in nome del coraggio.

Tale iniziativa è sfociata in una raccolta di volumi pubblicati dal Consiglio.

La desecretazione degli atti ha consentito a chiunque di valutare la fondatezza di quei giudizi fin troppo severi, contribuendo a valorizzare e ad esaltare quelle idee che sono state espressione della straordinaria capacità dei due Magistrati di contrastare la criminalità organizzata.

Si è trattato, senza dubbio, di un’iniziativa per la memoria collettiva del Paese e per la ricerca della verità storica.

La lettura di questi atti ci tramanda il ricordo di atmosfere cupe e angoscianti, quelle di un’epoca dai forti chiaroscuri.

Certe parole, alcuni facili giudizi che furono espressi con disinvoltura, arrivano a pesare come dei macigni: quei passaggi destano oggi stupore, rammarico e persino rabbia.

L’interrogativo, evocato dai verbali e dagli altri documenti raccolti nel volume è se lo Stato fece abbastanza per testimoniare la propria vicinanza ai magistrati schierati in prima linea.

È un quesito che rimane, almeno in parte, irrisolto.

Ribadire l’importanza delle figure di Falcone e di Borsellino significa – in questo giorno – lanciare un forte monito, specie contro chi crede che per cancellarli dalle nostre menti sia sufficiente deturpare le loro immagini.

Mi piace ricordare il discorso di Borsellino pronunciato al termine della marcia organizzata in ricordo dell’amico Giovanni, nella chiesa di San Domenico, il 20 giugno 1992: «La lotta alla mafia non doveva essere soltanto un’opera di repressione ma un movimento culturale e morale, che coinvolgesse tutti, specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà …».

Dopo le due stragi, l’Italia non è stata più la stessa, il Paese è profondamente cambiato.

Si potrebbe provare a pensare che sia cambiato in meglio: grazie alle nuove leggi nel frattempo approvate, grazie all’impegno dei magistrati e delle forze dell’ordine, grazie al forte impegno civile delle associazioni e dei cittadini schierati per la legalità.

Molteplici sono stati, in questi anni, i successi delle Istituzioni.

Il Consiglio Superiore della Magistratura con quest’iniziativa ha fatto la sua parte, mettendo in campo tutto il suo impegno sul piano organizzativo e dell’autogoverno.

Ma questo deve essere il momento del ricordo.

Sono passati 30 anni dalla strage: abbiamo alle spalle una tragedia indicibile causata da atti criminali e disumani, che è quasi impossibile descrivere.

Una cosa è certa: le parole, il lavoro, i volti dei due Magistrati rimarranno nella nostra memoria e in quella delle nuove generazioni come un segno indelebile di coraggio e di speranza.

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