venerdì, 19 Aprile, 2024
Esteri

L’Emirato che va a tutto gas

Reportage sul Qatar, verso i mondiali di calcio 2022 (1)

Non sarà l’ultimo acquisto ma l’arrivo di Leo Messi al Paris Saint-Germain (club francese dal 2011 di proprietà della Qatar Sports Investments) ha confermato quanto già si sapeva da tempo del calcio: i soldi possono molto.

Ma se i soldi sono indirettamente dell’emiro del Qatar, paese cardine nel sistema delle alleanze dell’Occidente eppur legato (in modo sottile ma solido) a formazioni che vedono nell’Occidente e nei suoi costumi un nemico da abbattere violentemente, allora le riflessioni si fanno profonde. Sono alcune delle contraddizioni che fanno del Qatar la sede della CNN araba, Al Jazeera, cresciuta come un vento di libertà e diventata una presenza sempre più influente nel Medio Oriente fino a condizionare le “primavere arabe” e criticata per la sua vicinanza alla politica estera di Doha.

Successi e interrogativi , petrodollari e diritti civili, grattacieli e affari : una crescita impetuosa e rapida che ha portato il piccolo Paese del Golfo alla ribalta energetica, finanziaria e poi politica e sportiva.

Ed ora arriva l’evento mediatico planetario: la finale della Coppa del Mondo di calcio che si giocherà a Doha il 18 dicembre 2022. Non era mai successo che il Mondiale venisse disputato in inverno e tutti i campionati nazionali si fermeranno.

GRANDI MEZZI, GRANDI POSSIBILITA’

Lo skyline della capitale del piccolo Emirato non è ancora quello di Dubai ma le differenze tra le città più importanti del Golfo (Dubai, Abu Dhabi, Doha) non si limitano all’imponenza dei grattacieli.

Dubai è come Las Vegas e anche ad Abu Dhabi ci si può divertire (quasi) secondo gli schemi di costume occidentale.

A Doha le cose sono un po’ diverse. Non si vendono alcolici e lo stile di vita è molto più rispettoso dei principi islamici. L’adesione dell’Emirato alla declinazione sunnita wahabita dell’Islam è stata all’origine di molte accuse. Sono state rivolte in diverse occasioni al Paese e ai suoi governanti, anche da alcune nazioni arabe. Accuse di aver sostenuto con mezzi economici e azioni diplomatiche alcuni gruppi armati operanti in Medio Oriente e di finanziare moschee e scuole coraniche in Europa.

Grandi mezzi, grandi possibilità per un Paese piccolo e “relativamente” giovane.

Una ricchezza che (a differenza di quanto si può pensare) non viene dal petrolio, anche se l’oro nero è stata la prima fonte di ricchezza. Ma dal gas naturale. Doha possiede la riserva di gas naturale più grande al mondo: il giacimento “North Field” che sorge al largo della costa nord-orientale del Qatar. Il più grande giacimento di gas “puro”: 6000 chilometri quadrati.

Una ricchezza infinita su cui sorveglia la famiglia dell’Emiro. Tutto ruota infatti intorno alla figura degli al-Thani, considerati il pilastro e il perno del Paese. L’attuale emiro Tamim è salito al potere nel giugno del 2013 dopo un “passaggio” incruento. A lui e alla sua famiglia fanno riferimento i centri di potere anche se l’Emirato formalmente si è trasformato in una monarchia costituzionale. Una monarchia che vuole giocare un ruolo politico nell’area e contare sulla scena internazionale stringendo alleanze strategiche e accordi commerciali.

UNA GUERRA ENERGETICA

La scelta del Qatar di puntare sul gas liquefatto è stato uno dei motivi che hanno spinto il piccolo Emirato a uscire dall’ OPEC (l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio) nel dicembre del 2018.

Pur non essendo da tempo un grande estrattore di petrolio il Qatar faceva parte dell’organizzazione fin dal 1961. Sbattendo la porta e andandosene Doha poneva fine a uno status quo definito da tempo e annunciava di tenersi le mani libere per lo sfruttamento intensivo del giacimento “North Field”. Competizione aperta sul mercato, quindi, e ricerca del primato mondiale nella fornitura del gas naturale liquefatto.

Quasi contemporaneamente all’uscita dall’OPEC il Paese si candida a diventare la guida del GECF (Gas Exporting Countries Forum), un nuovo organismo che stabilisce la propria sede a Doha e riunisce 16 nazioni provenienti dai quattro continenti. Un messaggio chiaro e non soltanto economico ma sottilmente politico nello scacchiere medio-orientale: L’Arabia Saudita non è più sola nell’indirizzare i pesi economici e strategici della regione. Un messaggio che viene ulteriormente rafforzato dal governo qatarino stringendo l’alleanza con la Turchia che da tempo ormai sta espandendo la propria influenza nella penisola arabica e in Africa. Una convergenza che mira a indebolire ulteriormente il principe saudita Mohammed bin Salman già sotto accusa dalla stampa e dalle cancellerie internazionali per l’ “affare Khashoggi”.

Sull’intera vicenda che ha visto la casa reale saudita investita dall’accusa di aver avuto un ruolo nella scomparsa e nell’uccisione del dissidente saudita una parte è stato giocata direttamente da Al Jazeera che ha lanciato una campagna di informazione diffondendo notizie e filmati che mettevano in cattiva luce i sauditi. Documenti inediti che le agenzie di intelligence ritengono forniti dalle autorità e dai servizi segreti turchi. (1-continua)

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