Il tasso di occupazione delle madri in Italia continua a essere significativamente inferiore rispetto a quello delle donne senza figli. Si conferma insomma un problema strutturale che persiste nel tempo. Secondo il Rapporto Cnel-Istat ‘Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità’, le donne che vivono sole hanno un tasso di occupazione del 69,3%, mentre quello degli uomini nella stessa condizione raggiunge il 77%. Ma la percentuale scende al 62,9% se le donne single sono madri. Il divario si acuisce ulteriormente nel caso delle madri che vivono in coppia, il cui tasso di occupazione si attesta al 57,2%, con una differenza di quasi 30 punti percentuali rispetto ai padri in coppia, che registrano un tasso di occupazione dell’86,3%. La disparità di genere in ambito lavorativo si accentua a livello territoriale. Mentre nel Nord e nel Centro Italia il tasso di occupazione delle madri si avvicina al 70%, nel Mezzogiorno esso crolla al 42% per le donne con figli minori. La presenza di più figli aggrava ulteriormente la situazione: nelle regioni meridionali, quando le madri hanno più di un figlio minore, il tasso di occupazione non supera il 42%. Questi dati riflettono un contesto socio-economico in cui la carenza di servizi per l’infanzia e la persistente divisione tradizionale dei ruoli rendono più difficile per le madri conciliare lavoro e famiglia.
Uno degli elementi chiave per migliorare l’occupazione femminile è il livello di istruzione. Il Rapporto Cnel-Istat evidenzia come all’aumentare del titolo di studio aumenti la probabilità di occupazione per le madri. Tra le giovani madri (25-34 anni) con al massimo la licenza media, il tasso di occupazione non raggiunge il 30%, mentre tra le laureate della stessa fascia d’età le differenze con i padri laureati risultano minime. Tutto ciò indica che l’istruzione rappresenta uno strumento determinante per garantire una maggiore equità nel mercato del lavoro.
Il lavoro part-time
Un altro aspetto che caratterizza l’occupazione femminile è il ricorso massiccio al lavoro part-time. Attualmente, il 31,5% delle donne occupate lavora a tempo parziale, contro l’8,1% degli uomini. La percentuale cresce significativamente tra le madri: il 36,7% delle donne con figli lavora part-time, con un picco del 41% tra le 25-34enni. L’incidenza del part-time aumenta ulteriormente all’aumentare del numero di figli, raggiungendo il 48% tra le madri più giovani con tre o più figli minori. Tuttavia, più della metà delle donne che lavorano a tempo parziale lo fanno per necessità, non per scelta, citando la cura dei figli o di familiari come motivazione principale.
Tra le donne occupate, quasi un milione sono madri sole (941mila, pari al 9,4% delle lavoratrici). Questo segmento si distingue per una maggiore vulnerabilità sul mercato del lavoro: il 69,6% delle madri sole ha tra i 45 e i 64 anni, il 12% è costituito da straniere e il 25,3% ha un basso livello di istruzione. L’incidenza del part-time involontario è particolarmente elevata in questa categoria (19,7%), così come la presenza in settori a bassa qualificazione, come alberghi, ristorazione e servizi alle famiglie. Nel Mezzogiorno, il 70% delle madri sole è disoccupata da lungo tempo, un dato che evidenzia le difficoltà di reinserimento lavorativo in un mercato già fragile.
L’inattività femminile
Le donne inattive tra i 15 e i 64 anni sono oltre 7,8 milioni, rappresentando il 63,5% del totale degli inattivi in Italia. Per un terzo di esse (33,9%), la motivazione principale è legata alla gestione della famiglia e dei figli, mentre solo il 2,8% degli uomini inattivi cita gli stessi motivi. Tra le madri in coppia, il 62,2% non cerca lavoro per ragioni familiari, mentre tra i padri la percentuale si ferma al 4,8%. Sono dati che confermano come la divisione dei ruoli domestici e lavorativi sia ancora fortemente sbilanciata a sfavore delle donne.
Nel Mezzogiorno, in quattro coppie su dieci la donna non lavora, mentre nel Centro-Nord il fenomeno riguarda meno del 20% delle famiglie. Il modello della famiglia monoreddito, con l’uomo come unico percettore di reddito, è più diffuso tra le coppie con figli (22% con un solo figlio, 32,8% con tre o più figli). Ma questo modello espone la famiglia a un rischio più elevato di povertà: oltre la metà delle famiglie monoreddito maschile rientra nel quintile di reddito più basso, mentre solo il 3% delle coppie con due redditi si trova in questa situazione. Il titolo di studio della donna gioca un ruolo chiave: tra le coppie in cui la donna ha solo la licenza media, il 42% è monoreddito, mentre la percentuale scende all’8,5% tra le laureate.
Servizi per l’infanzia
Uno dei principali ostacoli all’occupazione femminile è la carenza di servizi per l’infanzia. Il tasso di frequenza degli asili nido è del 28,1% a livello nazionale, con forti differenze territoriali: mentre nel Centro Italia raggiunge il 37%, nel Mezzogiorno scende al 17%. La domanda di servizi per l’infanzia è in crescita, ma l’offerta non riesce a soddisfarla. Nel 2022/2023, il 56,3% delle strutture ha registrato liste d’attesa, con percentuali più alte nel settore pubblico (67,6%) rispetto a quello privato (49,4%).