sabato, 23 Novembre, 2024
Società

Imputato assolto: diritto all’oblio

Dal primo gennaio 2023, grazie alla c.d. “Legge Cartabia”, finalmente anche in Italia, gli imputati assolti o che hanno visto archiviare l’accusa nei loro confronti, hanno diritto di vedere cancellato il proprio nome dai motori di ricerca.

Finalmente anche in Italia: perché il Regolamento del Parlamento Europeo che riconosce tale diritto è il n. 679 del 27 aprile 2016, quindi di sette anni prima della nostra legge. Il che mi conferma il motto di un amico, già docente alla London University: «quando verrà la fine del mondo spero di essere in Italia perché lì le cose avvengono sempre un po’ più tardi!».

Il guaio è che con ritardo anche grave – gravissimo e intollerabile, anzi: otto-dieci anni sono la norma; ma ci sono casi ben più longevi – avviene anche la conclusione del processo.

Anni durante i quali l’imputato (ma anche il semplice indagato il cui nome sia fatto trapelare) scontano una pena prima della condanna. Non mi riferisco soltanto all’incivile e barbara detenzione preventiva, che dovrebbe essere un’eccezione assoluta; pena anticipata, per di più scontata con modalità che non contemplano distinzioni tra il carcere inflitto ad un reo accertato e quello cui è costretto un presunto innocente. Ma penso anche e soprattutto alla inevitabile gogna sociale e mediatica, se appena appena il nome dell’indagato riveste un minimo di appeal giornalistico: verrebbe data, nell’esercizio del diritto di cronaca (che cercando la sensazione trascura spesso la presunzione di innocenza) una rilevanza e pubblicità con effetti devastanti sulla vita del soggetto coinvolto.

La lunghezza del processo ed il senso di colpevolezza che si determina nell’opinione pubblica con la semplice enunciazione della possibilità del reato fanno il resto: il soggetto coinvolto perde ogni credibilità professionale e ne escono sconvolti tutti i rapporti sociali. L’opinione pubblica – spesso spinta dal sensazionalismo mediatico – condanna a priori il soggetto coinvolto, trasformandolo subito da presunto innocente a certo colpevole.

L’assoluzione dopo anni e anni di tale gogna e di tale sensazione di colpevolezza non bastano a rimettere in piedi una vita completamente devastata. Per di più in un Paese come il nostro nel quale buona parte dei mass media sembrano avere sposato la teoria della “presunzione di colpevolezza” attribuita all’ex magistrato Davigo: non esistono innocenti, ma colpevoli per i quali non si sono trovate prove. Così che il dubbio che l’assolto se la sia cavata, pur se “certamente” colpevole, aleggia comunque nell’area ed è percepibile da chiunque.

Ben venga, quindi, il diritto all’oblio. In ossequio al quale non ho fatto il nome dei quattro o cinque personaggi assolti soltanto in questi ultimi mesi, uno di loro dopo undici anni di processo.

Il rimedio c’è e sarebbe semplice, addirittura conciliabile col diritto di cronaca (questione che spesso la Cassazione affronta, cercando di bilanciare i contrapposti interessi). Ma comporterebbe ciò che in Italia è impossibile: una reale riforma – soprattutto culturale – della Giustizia.

Con l’unica modifica costituzionale che secondo la mia come sempre opinabile opinione è veramente urgente: quella dell’art. 112 sull’obbligo dell’azione penale, che offre un alibi anche per indagini rivelatesi del tutto infondate.

Sotto il profilo culturale la novità dovrebbe consistere nella consapevolezza che un cittadino, presunto innocente, non si può disturbare sulla base di illazioni o con indagini “ufficiali”, comunicate e rese pubbliche che durano anni e anni, spesso per non sfociare neppure in un processo. Nel momento stesso in cui si rende pubblica un’ipotesi di accusa verso un cittadino o che venga a questo notificato un avviso di garanzia, si deve essere certi di avere tutte le prove necessarie e che si possa aprire il processo. Una cosa antica, l’habeas corpus. Magari stabilendo che lo stesso processo si debba chiudere velocemente e non con rinvii di mesi e mesi tra un’udienza e l’altra. Rinvii che, consentitemi, non servono a nulla, se non a prolungare la pena che il presunto innocente incappate nelle maglie della Giustizia è tenuto comunque a scontare: anche se la sua colpevolezza, alla fine, non dovesse risultare.

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