domenica, 17 Novembre, 2024
Lavoro

Lavoro e pensioni, riforme mancate. Basta assistenzialismo, salari più dignitosi

In Italia 5 milioni di autonomi vivono in condizioni di perenne precariato

Il lavoro, le politiche attive per rilanciare e sostenere l’occupazione, saranno un banco di prova eccezionale per il nuovo Governo. Occupazione, sviluppo e pensioni, sono tre dossier intimamente legati. Toccare un aspetto significa inevitabilmente modificare l’altro. Vediamo dai numeri la situazione attuale e quali sono problemi e soluzioni da decidere.

Autonomi, la grande illusione

La prima questione è l’eccezionale numero in Italia di lavoratori autonomi. Sarebbe bello dire che sono professionisti o maestranze autonome che gestiscono il loro lavoro con grande soddisfazione di tempo e finanziarie. Non è così. I numeri ci riportano alla realtà. I lavoratori dipendenti in Italia sono 18 milioni, più altri 5 milioni sono autonomi. Questi ultimi sono una cifra che classifica l’Italia come il Paese europeo con il più alto numero di occupati in proprio. Per la precisione il doppio. L’incidenza sul totale è la più alta anche fra i giovani: su poco più di 4 milioni di occupati tra i 25 e i 34 anni, il 16,3% svolge un lavoro autonomo contro una media UE del 9,4%. Perché c’è tanta voglia di lavoro autonomo? Con quali risultati? La prima osservazione lascia perplessi: il 72% di questi 5 milioni di autonomi, non ha dipendenti e nemmeno collaboratori. Cioè sono soli. Il 14% degli autonomi italiani ha un solo cliente-committente. Il che è un paradosso perché questo desiderio di autonomia sfuma verso una dipendenza vera e propria. Inoltre per la maggior parte degli autonomi non ci sono risorse per garantire l’assunzione anche di un collaboratore. Le crescenti difficoltà scoraggiano. Quasi il 28% oggi attuerebbe un percorso inverso.

Medici e tecnici in fuga

C’è poi il grande tema della carenza di personale specializzato. Questioni che sono i grandi assenti del dibattito politico. La mancanza di medici, ingegneri, infermieri e tecnici di ogni genere si manifestata in maniera evidente, mentre non si riesce a mettere mano a politiche formative più diffusive ed efficaci.
“Collegato a quest’aspetto”, fa presente il professor Vincenzo Ferrante, ordinario di diritto del lavoro all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, “è la questione retributiva: i salari restano nel complesso di livello molto modesto e finiscono così per spingere una parte importante della manodopera più professionalizzata e più dinamica verso altri paesi, anche al di fuori dei confini dell’Unione europea”. Colpa dei lavoratori? Non proprio, secondo lo studio dell’Università Cattolica di Milano, “Si tratta, tuttavia, non solo del frutto di una deliberata scelta di politica sindacale, ma anche della conseguenza della produttività delle imprese italiane, che resta ancora modesta, se paragonata ai risultati conseguiti da altri lavoratori, anche europei, per non parlare della manodopera asiatica”. In altri versi abbiamo bisogno di riforme vere e coraggiose. Che siano modellate alle nostre necessità con un sistema che offra maggiori tutele e anche una fiscalità sul lavoro diversa, che incentivi chi fa e produce, che sia autonomo, dipendente o impresa.

Lavoro e pensioni, temi accantonati

I dossier del lavoro e della previdenza finora sono rimasti confinati nella agenda politica/istituzionale degli ultimi governi. Ma sarà necessario provvedere subito. Come abbiamo più volte osservato non si esce dai problemi con l’assistenzialismo e fondi dati a pioggia. La campagna elettorale è finita, il Paese è chiamato a produrre di più, serve, una occupazione stabile, remunerata in modo soddisfacente. È necessaria una nuova formazione professionale, – metà delle imprese non ha trovato a settembre personale specializzato – bisogna quindi avere maestranze formate, è una busta paga con più soldi. Solo da questo percorso può essere intrapreso quel processo di riforma delle pensioni. Attraverso un incremento del numero dei lavoratori attivi, – al momento appena 22 milioni su una popolazione di quasi 60 -. Solo così il sistema previdenziale potrà uscire dalle tante criticità che lo connotano e dalle decisioni in questi anni rinviate.

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