“Oportet ut scandala eveniant!” Scrive Matteo nel suo Vangelo e Kurt ha esordito con questa citazione nel porgermi un fascio delle rassegne stampa attraverso cui, da qualche giorno, vengono diffondendosi i verbali che anni addietro sono stati riempiti dal noto Avvocato Amara, ma che solo in questi giorni vengono diffusi con tecnica simile a quella che si utilizzava – due secoli fa – per pubblicare i romanzi di appendice.
Sulle “manine” che li hanno nascosti prima ed esibiti poi, né io né il Marziano abbiamo le idee chiare, per cui abbiamo deciso di soprassedere, non altrettanto però sul contenuto di quei singolari documenti.
Mi è stato d’altronde facile ricordare al Marziano che il capostipite di quel genere letterario (“I misteri di Parigi “ di Eugen Sue, 1842) trovò la sua massima diffusione, appena due anni dopo, ne “ Il Conte di Montecristo “ di Alexandre Dumas (1844): storia di una vendetta che, parzialmente ispirata a fatti reali saccheggiati dalla biografia di Pierre Picaud, ricorda per qualche verso la vicenda umana e giudiziaria di chi ha preteso di rivelare – tanto tempo dopo – l’esistenza di una nuova loggia coperta, i cui adepti l’avrebbero denominata “Ungheria”.
Kurt mi ha lasciato educatamente manifestare la mia apparente cultura letteraria, ha posto qualche domanda di carattere secondario e poi – come un consumato inquirente che ha ben poco di extraterrestre – ha calato il Suo asso, mostrandomi un passaggio della cronaca intitolata “Loggia Ungheria, seconda puntata dei verbali segreti “(Il Fatto Quotidiano, 18 settembre u.s., pagina 7) ove si legge che “la conoscenza di queste dinamiche mi è venuta comunque utile…facendo nominare il professor Tedeschini che sapevo avere ottimi rapporti professionali con il giudice”.
Facendo grazia al lettore del contesto nell’ambito del quale una simile confessione è avvenuta (non solo per ragioni di spazio, ma anche perché i più curiosi potranno conoscerlo leggendo per intero l’articolo in questione, del quale ho fornito prima i riferimenti), mi preme invece raccontarvi la delusione di Kurt nel veder comparire un sorriso sul volto del suo interlocutore mentre terminava la lettura dell’articolo.
Infatti io sono talmente amico di quel giudice da esserne addirittura l’avvocato: come tale il mio cliente (che non potrebbe, come tale, essere anche il mio giudice) ha l’obbligo di astenersi tutte le volte che io possa comparirgli davanti in udienza in qualità di patrocinatore.
Ma quel che più conta è che ogni suo diverso comportamento lascerebbe tracce indelebili sulle decisioni assunte nei collegi da lui presieduti e sulle sentenze che ne scaturiscano.
A rafforzare l’evidenza di quanto sopra, c’è da aggiungere che le controversie alle quali la confessione de qua fa riferimento – e che mi hanno effettivamente visto come incaricato delle relative perorazioni – erano notoriamente destinate ad altra sezione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale e lì sono appunto atterrate.
Stretto fra l’evidenza dei fatti e la trasparenza del mio comportamento, Kurt non ha nascosto la propria delusione, confessandomi che aveva sperato di poter raccontare ai suoi concittadini extraterrestri che aveva preso alloggio – a Roma, cinquant’anni dopo il suo primo arrivo, come descritto dalla penna di Ennio Flaiano – nella biblioteca di un potente affiliato a loggia massonica di portata tale da far invidia a quella dei Rosacroce.
Ma quel che più lo ha colpito – almeno così mi ha detto – è stato il mio rigirare il coltello nella piaga, quando gli ho suggerito di utilizzare i suoi poteri di invisibile per andare a visitare la sede della loggia Ungheria e il suo vertice.
Il Marziano è d’altronde troppo intelligente per cadere nel trabocchetto che gli ho teso e così – allontanandosi mestamente per una passeggiata serale – ha concluso con una citazione del suo creatore:” La faccia non serve più a indicare niente. Lombroso sconfitto. Gli assassini hanno anche facce angeliche e gli angeli facce mostruose. La faccia non è più lo specchio dell’anima “. (Flaiano, Diario degli errori, Milano, 2002, p. 41).
Quest’ultima citazione però mi è servita a capire che se il delitto non paga, gettar confusione, invece, sembra pagare eccome!