Come noto, nella Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 non vi è alcun riferimento espresso e diretto al fenomeno sportivo; numerosi sono tuttavia gli articoli che ne assicurano una tutela indiretta. Qual è dunque il legame tra sport e Costituzione? Sarebbe necessario un “aggiornamento” costituzionale vista l’importanza sempre maggiore che l’attività sportiva ha rivestito dal 1948 ad oggi?
Il fenomeno sportivo organizzato può considerarsi riconducibile alla nozione di libera formazione sociale di natura associativa.
Data tale premessa, è consolidata l’interpretazione in base alla quale l’ordinamento giuridico trovi tutela e riconoscimento nel quadro dei principi costituzionali affermati dagli artt. 2 e 18 della Costituzione, che garantiscono i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e il diritto dei cittadini di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
Atteso il nesso che lega lo sport alla condizione psicofisica ottimale degli individui, anche l’art. 23 della Costituzione attribuisce un indiretto riconoscimento di rango costituzionale allo sport, laddove stabilisce che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
Tuttavia, è stato necessario attendere il ventunesimo secolo per vedere richiamato – con la Legge Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifica dell’art. 117, comma 3, della Costituzione -l’“ordinamento sportivo” nella Carta Costituzionale, tra le materie concorrenti sulla quale si alternano le diverse competenze di Stato e Regioni, circostanza che determina la competenza esclusiva dello Stato a legiferare sull’ordinamento e l’organizzazione del CONI, quale Ente pubblico nazionale al vertice dello Sport italiano – quindi di definire i principi fondamentali della materia – lasciando alle Regioni la concreta disciplina attuativa residuale della materia.
Tale ‘ritardo’ è dovuto, probabilmente, al fatto che i Padri Costituenti nel particolare momento storico in cui furono chiamati a redigere la Carta Costituzionale – promulgata il 27 dicembre 1947 e in vigore dal 1° gennaio 1948 -, non ritennero necessario dare rango costituzionale diretto allo sport, per l’uso strumentalmente politico che della pratica sportiva si era fatto nell’epoca immediatamente precedente alla nascita della Repubblica, preferendo, quindi, affermare i diritti umani e associativi – nei quali lo sport rientra a pieno titolo – in maniera generica, seppur ugualmente forte e piena. E in questo l’Italia non si trovò isolata, poiché anche le principali costituzioni adottate da diversi Stati (ad es. Stati Uniti, Belgio, Giappone, Germania, Francia) in precedenza, o negli anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale, non richiamarono espressamente lo sport e solo in epoca più recente alcune carte costituzionali hanno riconosciuto espressamente il fenomeno sportivo (ad es. Grecia, Svizzera, Portogallo, Spagna, Brasile, Russia, Turchia, Croazia, Ungheria).
Non può non essere richiamato, con l’occasione, il Trattato di Lisbona del 17 dicembre 2007, entrato in vigore nel 2009, nel quale si chiarisce che allo sport si intende attribuire una preminente funzione sociale considerandolo, al pari dell’istruzione e della formazione professionale, un elemento fondamentale per l’equilibrata crescita psico-fisica di ciascun individuo, in coerenza con l’operato della Commissione, che aveva gettato le basi per una politica dello sport dell’Unione Europea già con il “Libro Bianco sullo Sport” del 2007 e con il relativo “Piano d’Azione «Pierre De Coubertin»”.
La recente – e ancora in atto – disciplina generale dell’emergenza-coronavirus, peraltro, ha dimostrato come il nostro ordinamento nazionale abbia implicitamente riconosciuto la sussistenza di un diritto allo sport e all’attività motoria, introducendo uno spazio per l’esercizio di tale diritto, sia pure nel quadro di una disciplina limitativa di molti ambiti di libertà.
Non si può, quindi, che guardare con favore al riconoscimento formale dello sport come diritto o come libertà fondamentale, anche come strumento funzionale all’esercizio del diritto alla salute, allineando la nostra Costituzione Repubblicana alla cultura moderna già esplicitata dalle Costituzioni più recenti, dall’Unione Europea e dalla comunità internazionale.
In che modo la Legge n. 280/2003 regola i rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo? E’ corretto dire che la medesima Legge disciplina le materie riservate esclusivamente alla giustizia sportiva e quelle in cui vi è una competenza concorrente?
La Legge 280/2003, tuttora in vigore, è stata adottata proprio al preciso scopo di mettere ordine nei rapporti tra giustizia sportiva e tutela giurisdizionale statuale, precisando meglio detti rapporti con una disciplina che ha, almeno in parte, superato le precedenti concezioni che riconducevano la nozione di “giustizia sportiva” all’interno del nucleo di norme giuridiche necessarie per l’esistenza di un ordinamento sportivo.
L’art. 1 della Legge 280/2003 dispone, al 2° comma, che “I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”.
Tuttavia, l’art. 2 della stessa Legge riserva esclusivamente all’“ordinamento sportivo” le discipline aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e l’applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive.
Pertanto, l’art. 2, pur sembrando introdurre una attenuazione dell’autonomia – distinguendo tra questioni tecniche e disciplinari, da una parte, e questioni amministrative e patrimoniali, dall’altra – riprende la tesi dottrinale favorevole all’inquadramento dello sport come ordinamento separato, dotato di una vera e propria indipendenza anche nella decisione di alcuni tipi di controversie, che risulterebbero riservate alla giustizia sportiva.
Il successivo art. 3 completa il quadro, individuando il Giudice statale competente in materia di diritto sportivo e disponendo che esso possa intervenire sulle questioni sorte nell’ambito sportivo solo dopo che siano esauriti i gradi interni della giustizia sportiva, introducendo così il concetto della c.d. “pregiudiziale sportiva”, naturale corollario del concetto di “vincolo di giustizia”.
Il criterio seguito dal legislatore è stato, quindi, quello di assegnare al giudice ordinario il contenzioso relativo ai rapporti patrimoniali tra le società sportive e gli atleti e al giudice amministrativo quello relativo agli atti del CONI e delle Federazioni Sportive Nazionali / Discipline Sportive Associate, indipendentemente dalla situazione soggettiva (diritto soggettivo o interesse legittimo) che risulti lesa.
Rimanevano, tuttavia, ancora dubbi e perplessità con riguardo alla materia delle sanzioni disciplinari, risolti con due successive pronunce della Corte costituzionale (49/2011 e 160/2019) che hanno chiarito, in via definitiva e non suscettibile di ulteriori ripensamenti, il rapporto fra garanzia costituzionale dell’autonomia dell’ordinamento sportivo e garanzia costituzionale dei diritti inviolabili. La Corte costituzionale, con tali pronunce, ha stabilito che nelle controversie aventi per oggetto sanzioni disciplinari sportive non tecniche, incidenti su situazioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statale, è possibile proporre domanda di risarcimento del danno al Giudice Amministrativo in regime di giurisdizione esclusiva, mentre resta sottratta alla sua competenza la tutela di annullamento.
In cosa consiste il vincolo di giustizia sportiva e qual è il suo legame con la clausola compromissoria che gli atleti sono tenuti a sottoscrivere? Si tratta di un vincolo legittimo costituzionalmente? Qual è l’orientamento della Corte di Cassazione in tal senso?
Occorre, preliminarmente, introdurre la definizione di “clausola compromissoria”, che consiste nella facoltà, prevista dall’ordinamento giuridico, di delegare ad arbitri la risoluzione di controversie sorte tra soggetti legati da patti contrattuali, allo scopo di snellire il sistema di giustizia e pervenire a una risoluzione delle controversie in tempi brevi, scoraggiando al contempo le cc.dd. “liti temerarie”, in ragione dell’onerosità dell’istituto.
L’articolo 8 dei Principi di Giustizia Sportiva impone dispone che “Gli Statuti e i regolamenti federali prevedono che gli affiliati e i tesserati accettino la giustizia sportiva così come disciplinata dall’ordinamento sportivo”. Suddetta norma diviene vincolante alla luce dell’articolo 15 dei Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, laddove dispone che “Le Federazioni Sportive Nazionali e le Discipline Sportive Associate devono adeguare i propri statuti e regolamenti ai Principi di Giustizia Sportiva emanati dal Consiglio Nazionale del CONI”.
Il “vincolo di giustizia” rappresenta, quindi, l’obbligo che ogni soggetto, con il tesseramento o con l’affiliazione, assume di accettare diritti ed obblighi cristallizzati nella normativa federale.
Tra le norme che il soggetto tesserato o affiliato è chiamato a rispettare è compresa la devoluzione delle controversie di natura sportiva unicamente agli organi di giustizia sportiva, con conseguente esclusione del ricorso all’autorità giudiziaria statale – salvo specifica autorizzazione – e a pena di espulsione dalla comunità sportiva nel caso di inosservanza di tale vincolo.
Dunque, il “vincolo di giustizia” si risolve in un vero e proprio impegno di chiara natura contrattuale e riveste sostanziale struttura compromissoria, perché si fonda sul consenso delle parti che, aderendo spontaneamente alla Federazione Sportiva Nazionale / Disciplina Sportiva Associata con l’atto di tesseramento o di affiliazione, si impegnano a rispettare tutte le previste norme statutarie e regolamentari della predetta, ivi compresa, quindi, anche la prevista soggezione agli organi endofederali di giustizia sportiva.
In merito si è pronunciata anche la giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 18919 del 28/09/2005 – Rv. 585413 – 01), secondo cui per “vincolo di giustizia” deve intendersi “l’impegno di tutti coloro che operano all’interno della Federazione ad accettare la piena e definitiva efficacia di tutti i provvedimenti generali e di tutte le decisioni particolari adottati dalla stessa federazione, dai suoi organi e soggetti delegati, nelle materie comunque attinenti all’attività sportiva e nelle relative vertenze di carattere tecnico, disciplinare ed economico, impegno dal quale è desumibile un divieto, salva specifica approvazione, di devolvere le relative controversie all’autorità giudiziaria statuale”.
In linea generale, la rinuncia preventiva alla giurisdizione statale è stata ritenuta valida e legittima solo nei casi in cui abbia ad oggetto diritti disponibili, mentre con riferimento ai diritti indisponibili ed agli interessi legittimi, essi non possono formare oggetto di preventiva rinuncia al diritto di difesa presso gli organi statali.
In relazione a quanto detto in precedenza, un soggetto tesserato presso una Federazione sportiva può proporre ricorso dinanzi ad un giudice statale per una controversia di natura sportiva oppure incorre in una violazione della normativa di settore dell’ordinamento sportivo?
Le Società ed i tesserati che si rivolgano all’Autorità Giudiziaria per fatti derivanti e comunque connessi all’attività federale nei confronti di appartenenti alla Federazione sono puniti con provvedimenti disciplinari che possono arrivare sino alla radiazione, vale dire la cessazione definitiva dell’appartenenza al mondo sportivo.
Resta, tuttavia, salva la possibilità di adire l’Autorità Giudiziaria in sede penale.
Ferma restando la chiara indicazione fornita dal legislatore del 2003 in ordine alle materie di stretta competenza della giustizia sportiva, vi sono situazioni che possono essere “sottratte” alla giurisdizione sportiva in favore di quella statale, senza che ciò comporti per gli affiliati il rischio di una sanzione disciplinare.
Il Collegio di Garanzia dello Sport ha di recente ribadito che, nella materia penale, deve essere garantita una riserva di giurisdizione statale allorché gli atti di natura sportiva assumano rilevanza per l’ordinamento generale.
Infatti, mentre la giustizia sportiva è preposta al soddisfacimento di esigenze proprie dell’ordinamento settoriale di riferimento, la giustizia ordinaria tutela situazioni giuridiche soggettive che hanno anche rilevanza esterna; la materia penale esula dalla giurisdizione sportiva, non essendo essa in grado di garantire i diritti e le posizioni di diritto soggettivo del soggetto leso.
Il legislatore ha, quindi, inteso garantire al tesserato vittima di un reato, il diritto di richiedere allo Stato di sanzionare penalmente il responsabile di un fatto reato (art. 24 Cost.) e di rivolgersi al giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.), che per le fattispecie penali è esclusivamente l’Autorità Giudiziaria Ordinaria, senza con ciò rischiare l’irrogazione di una sanzione disciplinare per violazione del vincolo.
La dottrina ha proceduto a distinguere quattro differenti forme di giustizia sportiva: tecnica, disciplinare, economica ed amministrativa. Ciò premesso, quali sono le loro principali caratteristiche e peculiarità e come si differenziano i vari procedimenti per la risoluzione delle controversie?
Dal contesto normativo statale, da quello ordinamentale sportivo, dalla giurisprudenza e dalla dottrina deriva una sostanziale quadripartizione degli ambiti di interesse per la Giustizia sportiva:
- Giustizia Sportiva Tecnica;
- Giustizia Sportiva Disciplinare;
- Giustizia Sportiva Economica;
- Giustizia Sportiva Amministrativa.
Tali ambiti corrispondono anche alle aree di rispettiva competenza delle Sezioni giudicanti del Collegio di Garanzia dello Sport.
La Giustizia Sportiva Tecnica attiene ai fatti che si verificano sul campo di gioco e si concretizza attraverso la direzione dei giudici di gara, chiamati ad interpretare il regolamento in maniera tempestiva e la cui decisione è, spesso, insindacabile, ovvero mediante reclamo dinanzi agli organi federali di giustizia sportiva.
La Giustizia Sportiva Disciplinare è finalizzata all’accertamento ed alla sanzione delle infrazioni ai regolamenti delle Federazioni. Rispetto al contesto penale, l’illecito sportivo non possiede il requisito della tipicità, bensì va generalmente ricondotto alla prescrizione di osservare i doveri di buona fede e lealtà sportiva, lasciando agli organi inquirenti e di giustizia ampia discrezionalità nell’individuazione dei comportamenti irregolari, sia pure nell’ambito di un procedimento disciplinare rigorosamente codificato, al quale si applicano i principi di rilevanza costituzionale del c.d. “giusto processo”.
La Giustizia Sportive Economica concerne le controversie di natura patrimoniale tra atleti e società sportive, nel quali le parti sono portatrici di interessi di pari grado e rispetto ai quali la Federazione non è parte in causa, ma solo garante di una giusta risoluzione della questione.
Le questioni economiche possono esser risolte innanzitutto per mezzo di collegi arbitrali, in virtù della clausola compromissoria, ovvero ricorrendo ai competenti organi federali, normalmente in tema di tesseramenti e di vertenze economiche, in tal caso principalmente per questioni tra i club in relazione al trasferimento di atleti o di rispetto di obblighi risarcitori previsti dalle norme federali.
La Giustizia Sportiva Amministrativa, infine, attiene ai casi residuali di impugnazione delle deliberazioni degli organi amministrativi federali che, invero, sono spesso rilevanti anche per l’ordinamento statale, che in effetti ne prevede un vaglio da parte del Giudice amministrativo.