martedì, 17 Dicembre, 2024
Economia

Evasione fiscale. La prova su WhatsApp non vale

Nel processo tributario il contenuto dei messaggi scambiati su WhatsApp non può essere utilizzato come prova: a questa conclusione è giunta, pochi mesi fa, la Commissione tributaria Provinciale di Reggio Emilia

Con la sentenza n. 105/2021, ha accolto il ricorso di un imprenditore, annullando così l’avviso di accertamento emesso a suo carico dall’Agenzia delle Entrate sulla base di alcuni messaggi WhatsApp, con cui veniva recuperata l’IVA per più di 600 mila euro

 

IL CASO SOTTOPOSTO ALLO SCRUTINIO DEI GIUDICI TRIBUTARI
La controversia nasce dalla notifica ad un contribuente di un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate gli comunicava che veniva ritenuto amministratore di fatto di una società dichiarata fallita, utilizzata, a dire dell’Agenzia, quale mero schermo giuridico per l’emissione di fatture inesistenti al fine di evadere l’IVA, che veniva richiesta al contribuente stesso. La prova dell’Amministrazione Finanziaria si fondava sullo scambio di alcuni messaggi Whatsapp tra l’imprenditore e alcuni clienti e tra lo stesso e gli uffici amministrativi della società da cui si sarebbe evinto il suo ruolo.

I giudici tributari emiliani hanno accolto il ricorso del contribuente affermando l’inutilizzabilità dei messaggi presenti su supporti “I message” in quanto non può essere garantita la loro autenticità. Tali messaggi sono infatti archiviati solo su supporto telefonico dell’utilizzatore, a differenza dei classici sms, che sono memorizzati anche da parte delle compagnie telefoniche” ha commentato l’avvocato tributarista romana Susanna D’Alessio.

 

L’Avv. Susanna D’Alessio

LE MOTIVAZIONI ALLA BASE DELLA DECISIONE
I giudici tributari, richiamando la giurisprudenza in ambito di diritto penale, hanno però precisato che l’utilizzabilità di tale tipologia di conversazioni non è esclusa del tutto, rimanendo condizionata all’acquisizione del supporto telematico o figurativo contenente la registrazione al fine di verificare l’affidabilità e la provenienza delle conversazioni. Si tratta di una sentenza garantista – per la tutela del diritto di difesa del contribuente – ed apprezzabile sotto diversi punti di vista in quanto in ambito tributario vengono ammesse prove di ogni tipo, non esiste, infatti, un principio espresso di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite ed anzi sono molto utilizzati gli accertamenti fondati su mere presunzioni” ha concluso l’Avv. D’Alessio.

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