martedì, 17 Dicembre, 2024
L'angolo della Lettura

A Primavera tornerà l’amore (Un Racconto ispirato a una storia vera)

Seconda Puntata

 

(…) In quest’ ambiente si era formato Tonino Giangrande. Qui aveva appreso il mestiere e l’abilità del barbiere e qui si era appassionato alla musica e al canto. Nelle frequenti pause di lavoro, soprattutto nei pomeriggi autunnali, si svolgevano tanti concertini. Mest’ Salvatore al violino, Tonino al clarinetto e un altro giovane allievo, Ninuccio, alla fisarmonica. Formavano un trio d’eccezione. Nei momenti di riposo, era l’intrattenimento preferito non solo per gli anziani, ma anche per quei giovani che si avvicinavano alla musica popolare o ascoltavano per la prima volta, le arie del Rigoletto e della Traviata. Insomma era bello rifugiarsi nel suo salone, non solo per farsi la barba, lo shampoo e i capelli ma soprattutto per viaggiare nell’allegro pianeta delle canzoni, dei suoni, e delle poesie. E non mancava mai, il siparietto delle confidenze e dei pettegolezzi, delle piccole storie e storielle del paese. Ma stare lì era pur sempre più gradevole che lavorare o rimanere a casa. Si aspettava con calma il proprio turno, per sentire, finalmente, il tocco lieve di Mest’ Salvatore che, con  tanta delicatezza, ti accarezzava col pennello insaponato, per poi avvolgerti le guance ben rasate in una nuvola di profumi,  colonie e dopobarba.  

Come tutti i santi giorni, anche quella mattina del 25 Aprile 1942, alle otto in punto, Mest’ Salvatore andò ad aprire il suo salone. Controllò che fosse tutto in ordine e poi, con calma, indossò il suo camice bianco. Compiuto il rito, era pronto a ricevere il buon giorno di amici e conoscenti, che già a quell’ora, “spaccavano” la piazza  ancora vuota e sonnolenta. Aspettò cinque, dieci minuti, un quarto d’ora. Niente! 

Di Tonino, nessuna traccia. Eppure il giovanotto era sempre puntuale. Da casa sua, in Via Fratelli Bandiera, fino al salone in Piazza era veramente un tiro di schioppo. Se non era già lì per l’apertura, dopo pochi minuti si sarebbe presentato, puntuale come sempre, al suo posto di combattimento. 

“Chissà – pensò Mest’ Salvatore – forse avrà avuto un contrattempo. Oppure non si sente bene. Mah!  Forse avrà un po’ di influenza, per via del cambio di stagione”. 

Sta di fatto che non volle preoccuparsi più di tanto e per scacciare la solitudine, si affacciò nella Farmacia accanto alla Chiesa. Poco prima era arrivato anche il farmacista, il dottor Giovanni Lanzillotti. A quell’ora, verso le otto e mezza, usciva dalla Chiesa Madre anche l’Arciprete, Don Giuseppe Di Grottole e con lui il sacrestano e alcuni  chierichetti. 

“Mimì – chiese Mest’ Salvatore al ragazzino più grande – fammi un piacere: vai a casa di Tonino Giangrande e chiedi alla commara Carmelina che è successo a suo figlio. Sono passate le otto e ancora non è venuto al lavoro. Forse non sta bene; vai, vai, non mi far preoccupare. E torna presto!”. 

“Ci vado subito, Mest’ Salvatò’ ” –  rispose Mimì.

E così, in men che non si dica, si avviò con passo veloce verso la casa di Mest’ Fedele, sul versante destro della strada, proprio in fondo a Via Fratelli Bandiera. Tra le case che segnavano il confine tra Pizzo Falcone e la vasta campagna, quella dei Giangrande era la più aggraziata di tutte. Verso sera, poi, era uno spettacolo affacciarsi al suo balcone. 

Il panorama era tutto un luccichìo di  stelle, costellazioni e arabeschi, con quei paesi vicini che sembravano tanti presepi di un eterno Natale. Stavano lì, da millenni, distesi e beati, Craco e Stigliano, Pisticci e Montalbano, Pomarico e Miglionico. Mentre giù, all’orizzonte, nelle sere d’estate, i raggi di luna accarezzavano, sempre in silenzio, il mare limpido di Metaponto.

 In meno di un minuto, Mimì fu lì di fronte a casa e bussò subito alla porta dei Giangrande. 

“Chi è, a quest’ora?” – chiese la mamma di Tonino, meravigliata per quella visita, già di prima mattina.

“Commara Carmelì, mi manda Mest’Salvator u Varvi’r – chiarì subito il ragazzino-  

Vuole sapere dov’è Tonino, perché è da mezz’ora che l’aspetta ed è preoccupato che non si è presentato puntuale come tutte le mattine. Che ha la febbre? Non si sente bene?  

“Come sarebbe a dire che non si è presentato al lavoro?” – rispose la Commara Carmelina, tutta preoccupata per quella strana novità – Tonino è già andato via. E’ uscito di casa alle sette e mezza. L’ho visto io. Forse si è fermato da qualche suo amico a chiacchierare o chissà dove sarà andato. Ma, dì a Mest’ Salvatore che arriverà, arriverà!  Sto figlio mio, è da qualche mese che  ten’ ‘a cap’ ‘ndo u pallon  (ha la testa tra le nuvole). Sta sempre zitto. Con noi non parla più. Io lo so che gli è successo. Forse, so zitarìe che non vonn chiù tant’ bon! (Forse è il fidanzamento che sta andando in crisi). 

Mimì, a quel punto, capì che era inutile aspettare e tornò subito a riferire a Mest’ Salvatore che a casa Tonino non c’era. Era uscito di buon’ ora, ben prima delle otto. Ma, dove fosse e presso chi si fosse diretto, nessuno era in grado di dirlo. La mamma, il papà e le due sorelle, poveretti, erano all’oscuro di tutto. E allora, per placare l’ansia e la preoccupazione, le due sorelle decisero di uscire per cercarlo. Tante volte fosse andato da qualche amico, oppure dagli zii o dai nonni che abitavano un po’ lontani,  tutti sparsi nei rioni del Paese.

Verso mezzogiorno, quando ormai le ricerche si erano risolte con un nulla di fatto, le sorelle Elena e Filomena rientrarono a casa. E incominciarono ad interrogarsi sul perché, lui così preciso e puntuale, aveva dato forfait  proprio a  Mest’ Salvatore. 

“Io non lo capisco più a Tonino – disse Filomena-  E’ da un po’ di tempo che non ci sta più con la testa. Non parla, non ci racconta più niente. Ha perso interesse per ogni cosa. Ma tu hai visto com’è svogliato? Mò, sono un po’ di giorni che, a tavola, non vuole nemmeno mangiare. Mica si può andare avanti così. Manco se qualcuno gli ha avesse fatto ‘na fattura!” 

“Mah!  Qualcosa mi frulla in testa – intervenne Elena, anche lei preoccupata per quei comportamenti strani del fratello –  Chissà, avrà avuto  uno screzio con la fidanzata. Tonino, stavolta, non me la conta giusta. So’ già diversi giorni che non va più da Esterina. Qui in paese poi si mormora. Ci vuole poco, con tutti ‘sti ruffiani e male lingue, a mandare  gambe all’aria un fidanzamento.” 

Il dialogo tra Elena e Filomena, andò avanti per un bel po’. E, tra le ipotesi emerse, vennero fuori le più strampalate congetture, sul perché e sul percome Tonino si fosse dileguato, come se stessero ragionando di uno strano soggetto e non del fratello.  

Forse – si dissero le due sorelle – anche lui voleva andare a combattere e  raggiungere, così, i suoi amici al fronte. O chissà, era scappato a Taranto o a Matera, per arruolarsi volontario. Oppure, sopraffatto da una delusione d’amore e arrabbiato col mondo intero, si era rifugiato in campagna presso le masserie di Don Cesare San Mauro o del Barone Don Cristoforo Arcieri, dove lavoravano alcuni suoi amici d’infanzia. 

“Sta di fatto – sbottò Filomena, la sorella maggiore – che son passate cinque ore da quando è uscito di casa e  non sappiamo ancora  dove si è cacciato. Il paese è piccolo, Possibile che si è dileguato come un fantasma?”     

“Ma tu vid ‘n picch’ (Ma  tu guarda un po’) – rincarò la dose Elena – A trent’anni si mette a fare il ragazzino! Sparisce così, senza dire niente. Non si è presentato da Mest’ Salvatore, né si è fatto vivo dagli zii o dai nonni. Ma dove sarà andato!  Ma mò ca torn’ a la cas’, l’aggia fa vedè i cè iora iè. Vabbè, mò aspettiamo che torni mamma da Santa Lucia. Vediamo un po’ se, tante volte si è avviato, di là per andare alla stazione. Qualcuno l’avrà pur visto, no! E poi, se voleva scappare col treno, sempre da lì doveva partire!” 

Altre ipotesi e congetture, dopo quelle venute fuori durante quella lunga mattinata, né Filomena, né Elena erano ormai più in grado di aggiungerne. Nel pomeriggio arrivarono stanchi ed esausti sia la madre Carmelina che il padre  Mest’Fedele.  Tutt’e due erano rientrati a casa senza nessuna certezza. Gli amici intimi e i parenti più stretti non lo avevano né visto né sentito. Si era dileguato senza lasciare nessuna traccia. Né un bigliettino, né una lettera, né tantomeno un’ambasciata da far recapitare a casa. (…)

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