giovedì, 25 Aprile, 2024
Società

Farine di grillo? È l’istinto di conservazione a dire no

“De gustibus non disputandum est” dicevano i latini. E in campo alimentare questa regola vige più che mai. Ma perché alcune persone trovano alcuni alimenti nauseanti? I ricercatori Christina Hartmann e Michael Siegris, che si occupano di comportamento dei consumatori, la disciplina che studia il modo in cui le emozioni e le preferenze dell’individuo e del gruppo influenzano i comportamenti negli acquisti, sostengono che l’evoluzione abbia predisposto gli esseri umani a reagire negativamente a certi sapori o odori per evitare il consumo di alimenti potenzialmente nocivi.  Il disgusto è, dunque, una risposta emotiva e fisica che si manifesta attraverso sensazioni spiacevoli come nausea, avversione o ripugnanza, per proteggerci dal consumare cibi che potrebbero essere tossici o portare a malattie, come carne marcia o alimenti ammuffiti.

Il disgusto alimentare non è un concetto banale, bensì un fenomeno complesso influenzato da una combinazione di fattori biologici, educativi, esperienziali e sensoriali e le nostre preferenze alimentari sono una combinazione unica di influenze personali e collettive. Comprendere le ragioni dietro la repulsione ci aiuta a capire meglio le nostre scelte alimentari e la diversità culturale che le provoca. Ciò che viene considerato cattivo in una cultura potrebbe essere una prelibatezza in un’altra. Come sappiamo in alcune parti del mondo, insetti come grilli e cavallette sono considerati una fonte di nutrizione, mentre in altre sono ritenuti disgustosi. Cambiare i condizionamenti culturali è estramente difficile, come stiamo vedendo dalle reazioni negative all’introduzioni di farine provenienti da insetti entrati da poco nei nostri mercati alimentari.

Le preferenze alimentari sono anche modellate dalle esperienze individuali; l’apprendimento e il condizionamento svolgono un ruolo importante nel determinare le nostre reazioni al cibo. Se abbiamo avuto un’esperienza negativa con un certo alimento, a causa, ad esempio, di una intossicazione alimentare, il nostro cervello può associare quell’alimento al disagio e spingerci a non volerlo mai più mangiare. In uno studio di antropologia, biologia e psicologia pubblicato nel 2021 sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, i ricercatori hanno analizzato i comportamenti di disgusto tra gli Shuar, un popolo indigeno che abita nella regione amazzonica dell’Ecuador e del Perù. La ricerca ha dimostrato che i membri dei gruppi e delle famiglie meno isolate e più integrate nella moderna economia di mercato, quelli che vivevano non di agricoltura, pesca e caccia, ma di un lavoro salariato o vendendo prodotti agricoli, avevano più alti livelli di sensibilità al disgusto, più probabilità di evitare cibo avariato e un minor numero di infezioni batteriche, virali e parassitarie.

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