In Italia si fanno sempre meno figli e sempre più tardi, complici la difficoltà a realizzare una vita di coppia stabile e avere un lavoro sicuro. Ma per le donne, la riserva ovarica e l’invecchiamento genetico degli ovociti non aspettano, e le possibilità di diventare madri a 25-30 anni non sono le stesse che a 40, sia in modo naturale, sia mediante procreazione medicalmente assistita (PMA).
“La scienza offre sempre maggiori chances per preservare la fertilità e posticipare la gravidanza al ‘momento giusto’, ma è necessario promuovere una corretta informazione e sostenere le donne affinché colgano appieno queste opportunità. Il congelamento degli ovociti per ragioni non mediche (il cosiddetto social freezing), che oggi avviene con tecniche mininvasive e sicure, consente di ottenere risultati fino a qualche anno fa insperabili, se realizzato prima dei 35 anni, età spartiacque della fertilità femminile”. Lo dichiara Marco Filicori, presidente di Cecos Italia, l’Associazione dei Centri di studio e conservazione ovociti e sperma.
Con l’aumento dell’età, la riserva ovarica, vale a dire il numero di follicoli contenuti all’interno dell’ovaio, tende progressivamente a ridursi. Inoltre, si riduce la percentuale di ovociti geneticamente normali presenti all’interno dei follicoli.
“Già a 30 anni – spiega Filicori – circa un terzo di tutti gli ovociti ha un’anomalia cromosomica. In una donna di 40 anni, è possibile che oltre il 50% degli ovociti presenti anomalie, che ne riducono la fertilità ed aumentano il rischio di abortività e malformazioni genetiche del bambino”.
Se l’età resta l’unico fattore da cui dedurre la percentuale di ovociti sani – avere un ciclo mestruale regolare non è indicativo di una buona riserva ovarica -, è invece possibile valutare il patrimonio follicolare con un semplice esame del sangue che misura l’ormone anti-mulleriano (AMH). “Questo test – continua Filicori – si rivela molto utile per identificare le donne più a rischio di menopausa precoce e intervenire con una strategia appropriata, ad esempio optando per il congelamento degli ovociti da utilizzare in futuro, quando la donna avrà trovato un partner o raggiunto una stabilità economica”.
Il social freezing prevede che la donna si sottoponga a stimolazione ovarica per aumentare la produzione di follicoli, e quindi di ovociti. Gli ovuli maturi vengono congelati tramite tecnica di vitrificazione e conservati presso la banca autorizzata nel Centro prescelto. Qualora la donna decida di intraprendere una gravidanza, si procede allo scongelamento di un numero congruo di ovociti crioconservati e al processo di fertilizzazione mediante una tecnica di PMA. I tassi di successo dipendono dal numero di ovociti congelati, ma soprattutto dall’età della donna al momento del congelamento.
“Se in una donna di 40 anni vengono utilizzati gli ovuli di quando ne aveva 20, le probabilità di rimanere incinta sono quasi le stesse di una donna di 20 anni, fermo restando che la gravidanza potrebbe essere più rischiosa. Come suggerito anche dalle linee guida delle società scientifiche internazionali, sarebbe quindi opportuno decidere per il social freezing entro i 30, massimo 35 anni, così da avere maggiori probabilità di ottenere una gravidanza e portarla a termine con successo – spiega il presidente di Cecos Italia -. Il problema è che, molto spesso, la richiesta di sottoporsi a questa tecnica arriva da donne che hanno 40 anni e oltre, per le quali congelare gli ovociti può rivelarsi di scarsa utilità a causa della bassa qualità genetica degli stessi”.
In Italia, le tecniche di congelamento degli ovuli sono ben più note ai fini medici, in presenza di trattamenti che minacciano la fertilità femminile, come ad esempio le terapie oncologiche. C’è poi la questione dei costi della procedura, attualmente totalmente a carico della donna. Ad oggi, solo due Regioni – Trentino Alto Adige e Toscana – prevedono l’esenzione dal pagamento per social freezing, a favore delle donne che decidono di donare parte dei propri ovociti.
“Le donne sono poco informate sugli esami da eseguire per conoscere le reali possibilità riproduttive. A ciò si aggiunge la scarsa consapevolezza sul social freezing come tecnica preventiva dell’infertilità, anche per la mancanza di campagne di sensibilizzazione, che dovrebbero essere indirizzate alle donne, già intorno ai 20 anni, seppur con tutte le difficoltà di affrontare il tema in una fase della vita in cui la maternità non rappresenta una priorità, e l’idea di conservare gli ovuli risulta piuttosto remota”, commenta Filicori.
Un’iniziativa che va in questa direzione è rappresentata dalla campagna educazionale “Il Momento Giusto” (www.ilmomentogiusto.org), promossa da Gedeon Richter, azienda specializzata nell’area ginecologica, con l’obiettivo di informare le giovani donne, utilizzando il linguaggio proprio del web e dei social, in merito alla loro fertilità e alla possibilità di preservarla tramite crioconservazione ovocitaria, per non rinunciare al progetto futuro di formare una famiglia. (Italpress)