venerdì, 29 Marzo, 2024
Economia

Il 13% delle famiglie italiane ritiene il suo reddito insufficiente per le necessità primarie

Dai risultati della ricerca dell’Osservatorio “Sguardi Famigliari” di Nomisma si evidenzia che il 13% delle famiglie italiane ritiene il proprio reddito insufficiente a far fronte alle necessità primarie, vale a dire alle spese irrinunciabili come i generi alimentari, oppure le spese legate alla casa come l’affitto, il mutuo, le bollette, ecc.

A questo gruppo di famiglie, che potremmo definire “compromesse”, si aggiunge un altro contingente numeroso (il 43% delle famiglie intervistate) che valuta la propria condizione reddituale appena sufficiente a far fronte a tali spese, in una sorta di equilibrio precario che potrebbe essere messo a rischio da un evento imprevisto anche di modesta portata. Vi sono molti gradi di vulnerabilità e alcune condizioni che determinano delle difficoltà oggettive per le famiglie.

La presenza di una sola fonte di reddito è certamente una di queste, considerando che se nel complesso del campione la percentuale di famiglie che reputa il proprio reddito non completamente adeguato o insufficiente a far fronte alle necessità primarie è pari al 57%, tra le persone giovani che vivono da sole questa percentuale sale al 69%, mentre tra i genitori soli con figli arriva addirittura al 78%.

Queste ultime hanno problemi di natura non solo economica ma anche di tipo relazionale o psicologico, dal momento che la loro condizione deriva da una separazione con il coniuge o partner oppure anche da un lutto, e si trovano pertanto costrette a riorganizzare la propria vita dovendo affrontare tutta una serie di criticità che non erano presenti nella condizione precedente. L’assenza di una casa di proprietà è un altro elemento che amplifica le problematiche famigliari, in particolare se si deve pagare un affitto, condizione che fa salire al 76% la quota di famiglie che reputa il proprio reddito inadeguato.

Se a questo, infatti, sommiamo le difficoltà sopraggiunte nell’ultimo anno a causa dell’aumento del costo della vita e con le bollette in alcuni casi persino raddoppiate, ecco che la casa rappresenta un fattore in grado di amplificare le criticità e un fardello molto pesante sulle spalle delle famiglie. Altre condizioni maggiormente note si confermano come elementi che più frequentemente si associano a situazioni di difficoltà economica, come l’avere un’attività lavorativa meno qualificata (il 73% dei capifamiglia operai giudica il proprio reddito non adeguato), un basso titolo di studio (62%), oppure vivere nel Sud Italia (63%).

Un’eventuale spesa imprevista, anche di piccola entità, potrebbe quindi diventare un serio problema da affrontare per il 22% delle famiglie totali, percentuale che sale al 30% tra le persone sole non anziane, al 31% per i genitori soli con figli, e al 41% per le famiglie in affitto. Per queste famiglie, dunque, basterebbe poco per incorrere in difficoltà economiche ed essere costrette a richiedere supporto esterno.

Accanto a questi elementi che concorrono a determinare condizioni di disagio economico, allo stesso tempo è possibile individuare alcune tipologie famigliari che più di altre manifestano debolezze e bisogni: si tratta di persone giovani-adulte che vivono da sole, di famiglie numerose con figli piccoli e di famiglie che si prendono cura di persone non autosufficienti. Dall’indagine di Nomisma emerge anche che, a parte la famiglia di origine, i servizi sociali sono la principale rete di supporto delle famiglie in difficoltà (vi si rivolgerebbe il 27% delle famiglie in situazione di incertezza): oltre alle sovvenzioni economiche (il 12% delle famiglie ne ha fatto richiesta negli ultimi 5 anni), i servizi più richiesti sono quelli legati all’assistenza domiciliare, sia quella esclusivamente sociale (per il 5% delle famiglie totali), sia quella integrata con i servizi sanitari (7%). Secondo l’opinione di chi ne ha usufruito, l’apprezzamento maggiore riguarda l’assistenza domiciliare sociale (il 65% ne dà un giudizio buono o ottimo), mentre c’è insoddisfazione verso i servizi alla prima infanzia (solo il 41% di giudizi positivi) e gli sportelli di ascolto (solo il 31%).

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