giovedì, 25 Aprile, 2024
Esteri

Per l’Iran anche gli ambientalisti sono terroristi

Che il processo massivo, capillare, infinito di distruzione di ogni forma di bellezza fosse in atto da decenni è un fatto certo, soltanto che oggi noi occidentali siamo stati costretti dalle urla di disperazione e dall’enorme coraggio di un popolo di giovani a volgere lo sguardo verso quel pozzo di dolore in cui è stato trasformato l’Iran. Le pagine che si possono scrivere su quanto sta accadendo non saranno mai sufficienti a testimoniare la verità di questa polifonia straziante di tante, troppe voci che gridano aiuto da quella terra meravigliosa che era l’Iran, trasformata in un enorme patibolo. Gli eventi si stanno susseguendo velocemente e tutto ciò che si muove intorno a questa rivoluzione del popolo iraniano merita notizia e approfondimento, pena trasformare un’immensa tragedia in un susseguirsi di notizie senza storia.

Per questo, oltre al raccordo frequente di tutti gli accadimenti, cercherò di fermarmi via via dentro le tante realtà e la loro memoria, che si nascondono tra le piaghe sanguinanti del popolo iraniano. Il regime degli Ayatollah, fin dalla sua ascesa, come ci raccontò un nostro contatto cresciuto a Teheran, ha manifestato da subito odio verso
qualsiasi forma di bellezza, verso la libertà, reprimendo ferocemente anche la più timida e legittima delle richieste che un cittadino può fare al suo governo. La parola d’ordine e di sintesi è stata “terrore”, perpetrato con sadico compiacimento dai vertici di regime e dal loro braccio armato, l’IRGC (corpo dei guardiani della rivoluzione islamica).

Ricordo che il regime iraniano ha smesso di ridere dei suoi giovani, innocenti e impiccati in pubblica piazza, solo ora che diversi paesi, dopo la risoluzione del Parlamento Europeo, stanno inserendo questa immonda fanteria del demonio nella lista delle organizzazioni riconosciute come terroriste dalla Comunità Europea. Oggi desidero restituire memoria e attenzione a molti cittadini iraniani che sono rinchiuse in carcere solo per essersi adoperati in difesa di animali e ambiente nel loro paese, accusati, loro, di terrorismo, mentre i terroristi veri hanno le chiavi della serratura della loro prigione e della loro vita. Quelli di cui vi parlo oggi si impegnavano pacificamente per la tutela dell’ambiente. Per loro, anche Inger Andersen, già direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, appena riconfermata, ha chiesto il rilascio dalla prigione degli attivisti ambientali iraniani. Ha scritto sul suo Twitter in Farsi: “Abbiamo un solo pianeta e nessuno dovrebbe essere processato per averlo protetto”. Questi i fatti: Murad Tahbaz, Nilofar Bayani, Homan Jokar, Taher Qadirian, Amirhossein Khaleghi, Sepideh Kashani, Sam Rajabi e Abdolreza Kohpayeh, otto attivisti ambientali, sono stati arrestati dall’intelligence dell’IRGC nel febbraio 2016.

Queste persone sono state rinchiuse in isolamento per diversi mesi senza accesso a un avvocato difensore e private della possibilità di incontrare le loro famiglie, e infine sono state condannate a un totale di 58 anni di carcere. Questa sentenza è stata emessa loro dal giudice Salavati nella sezione 15 del tribunale rivoluzionario di Teheran. Queste persone sono accusate di “spionaggio” e di “comunità e collusione con l’intenzione di agire contro la sicurezza del Paese”. Gli attivisti ambientalisti hanno ripetutamente negato queste accuse. Anche Isa Kalantari, all’epoca capo dell’organizzazione ambientalista iraniana, aveva annunciato che non esistevano prove o documenti per accusare queste persone di “spionaggio”. Durante gli oltre sei anni trascorsi dall’arresto di queste persone, sono stati pubblicati numerosi resoconti delle torture fisiche e mentali di questi attivisti ambientali. Tra loro, Nilofar Bayani, che nel febbraio 2018 ha rivelato in lettere alle autorità della Repubblica islamica di “le più gravi torture mentali ed emotive, minacce di torture fisiche e minacce sessuali” durante la sua detenzione.

Abdulreza Kohpayeh, uno di questi attivisti ambientalisti, condannato a quattro anni di carcere, è stato rilasciato nel 2019 sulla base di una direttiva sulla “libertà dei prigionieri politici con condanne inferiori a cinque anni”. Altri sette attivisti sono ancora in carcere e, nonostante le numerose richieste di scarcerazione, le autorità giudiziarie non hanno ancora acconsentito alla loro scarcerazione. Anche l’iraniano-canadese Kavous Seyed Emami, professore e ambientalista, era uno di questi attivisti ambientalisti arrestati nel febbraio 2016, contemporaneamente a queste persone, ma due settimane dopo è stato annunciato che si era “suicidato” in carcere. La famiglia del Professore Kavous Seyed Emami non ha accettato la questione e ha ritenuto “sospetta” la sua morte in carcere, chiedendo un’autopsia imparziale.

Tuttavia, non è stata condotta alcuna indagine trasparente e indipendente sulla morte di questo attivista ambientale (noto anche per i suoi studi su un raro felino in via d’estinzione in Iran) che venne liquidata così da sua follia Al Khamenei, guida suprema dell’Iran: “Chi mai verrebbe in Iran per studiare un animale? Mi pare ovvio che fosse una spia.” Sì, perché per lui anche cani e gatti sono impuri, simbolo di occidentalizzazione (questa la vera colpa degli ambientalisti), tanto che il Parlamento ha deciso di vietarne la circolazione con i loro proprietari pena multe, frustate, carcerazione, confisca del cane e suo abbandono nel deserto. Ed è pronta una legge per vietarne il possesso. Anche questo è stato tolto ai privati cittadini, che dai primi del ‘900 hanno sempre vissuto con un animale domestico e lo stesso Scià ne possedeva uno, con cui appariva in pubblico, anzi fu il primo a promulgare nel 1948, una legge per i diritti degli animali in Medio Oriente. Quello era un paese da amare, pieno di fiori, colori e poesia, oggi assediato dal deserto del male che vuole avanzare sulla bellezza.

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