mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Cultura

Ennio Calabria pittore dell’aura

Siamo nella casa studio del maestro Ennio Calabria, uno dei massimi esponenti del figurativo europeo, il quale nasce come illustratore. Può raccontarci il suo percorso, partendo dalla formazione per poi arrivare alle ricerche che tutt’ora sta effettuando.
Il mio inizio è stato molto particolare: a otto anni andavo al giardino zoologico perché il direttore di allora mi dava il permesso. In realtà seguivo uno scopo recondito: a quel tempo avevo paura dei fantasmi e dipingevo una tigre siberiana che era stupenda, si chiamava Stellina. Successivamente ho collaudato l’opera, facendola vedere agli animali e vi era una Pantera nera che saltava per un quarto d’ora da una parete all’altra. Ultimata l’opera ho deciso di appendere questa testa di tigre nella stanza così da dormire tranquillo in quanto sul mio letto avevo questa potente alleata contro i fantasmi. Questo aneddoto per me ha un significato importante in quanto ho recuperato una metodologia mentale molto primitiva: la pittura è capace di evocare i nostri fantasmi, quelli che sono a nostro favore contro quelli che ci sono contro. Quindi, da questo punto di vista, per me è stata una grande lezione e non ho mai smesso di continuare per questa strada.
Oggi mi definisco, con molta violenza, esser un pittore dell’aura. Già Walter Benjamin ha studiato il grande tema dell’aura; l’aura è stato sempre un equivoco, perché è stata vista sempre come una suggestione spirituale dell’arte. In realtà si tratta di poteri diversi, poteri che provengono dal positivismo, i quali credono solo all’evidenza e quindi credono solo agli effetti della legge di gravità. Il resto non esiste e si contrappone al potere religioso sublima il cielo come unico punto di riferimento. Facendo quest’operazione di reciproca convenienza ideologica e di interessi hanno spaccato in due l’identità umana: quando l’uomo è nato, è nato il miracolo quindi tutto l’universo ha urlato al miracolo perché è nato il pensiero.

E oggi, se volessimo trasportare questa sua visione nel mondo contemporaneo, ci sono degli esempi?
Oggi non ci sono esempi perché questa cosa riguarda il domani. Il punto fondamentale è che l’uomo deve riappropriarsi della sua dimensione immateriale, perché altrimenti noi abbiamo un uomo animale, invece dobbiamo avere un uomo che sia uomo. I modelli di sviluppo che vengono utilizzati usualmente sono modelli di sviluppo dell’uomo animale. Si rischia di confondere il progresso tecnologico con l’evoluzione. Quando l’uomo andò sulla Luna, ci fu una polemica mondiale in quanto c’è chi diceva che la tecnologia è uguale evoluzione e altri che dicevano che l’evoluzione si ha quando gli ospedali funzionano.

E c’è anche chi non ha creduto che in realtà che l’uomo fosse andato sulla luna.
Lì si apriva un nuovo fronte che oggi sta diventando la nuova soggettività. Gli ultimi tempi noi abbiamo ceduto il campo a una razionalità che non si scontra con l’irrazionalità, ma che è una razionalità limitata, tecnico scientifica. Si contrappongono due velocità: la realtà accaduta e la realtà mentre accade, le quali hanno costituito ormai due punti di riferimento nuovi. La realtà già accaduta, e parlo della scienza, si identifica e si rivela mediante certezze pregresse. Mentre la realtà tecnico scientifica può ricorrere ai dati, la realtà etica non può ricorrere ai dati perché prevale una nuova concezione complessa. Da un lato una soggettività, nella quale io sono la verità, non ciò che ritengo vero e dall’altra parte la verità individuale, la quale si sente sconfitta dalla verità dell’essere. Così facendo si crea un nuovo dissidio che propone, alla verità individuale di spegnersi in un narcisismo perché viene in qualche modo cacciata dietro da quest’altra dimensione. Con la Sig.ra Rita Pedonesi, abbiamo costituito un’associazione, “Il tempo”, all’interno della quale abbiamo portato avanti una precisa strategia: abbiamo capovolto la posizione cartesiana “cogito ergo sum” in “sum ergo cogito”, perché l’io interpretante si va indebolendo. In sostanza, si sostituisce all’io narrante, la vita che produce e che racconta. Il soggetto diventa mediatore dell’identificazione di cui è capace la vita. Del resto con l’avvento della nuova grande scienza quantistica come si può spiegare Heisenberg se non si ripudia questo tipo di analisi con polarità opposte: fisico e metafisico, vero e falso. Le verità opposte si attraggono e convivono grazie all’alta velocità degli scambi. Succede che questa nuova attrazione è l’investimento che l’uomo aveva donato alla metafisica, torna alla storia e quindi a Cesare. La conseguenza è il purificarsi da tutto quello che proveniva dal miscuglio tra Dio e umano e si ripresenta come mistero assoluto, cioè il mistero non risolvibile. Noi abbiamo sempre un’idea di un mistero e ci accorgiamo che questo mistero è addomesticato dalle narrazioni religiose: il mistero assoluto è l’indeterminazione di Heisenberg. Lui non sostiene che lunedì martedì sono indeterminabile però venerdì si risolve; per lui indeterminabile è sempre e così facendo il nuovo mistero diventa un coinquilino ulteriore dell’interiorità e relativizza le certezze.

Chiudiamo quest’intervista così profonda e che scuoterà sicuramente il nostro inconscio, con alle spalle il tavolo del pasticcio, da cui è partito creando arte negli anni 60 con il movimento del pro e contro fino a oggi, con questo ritratto alle spalle; cosa rappresenta?
È un ritratto di Lenin e anche del mistero della coscienza: se io dico io non uccidere mai uno scarafaggio vuol dire che la mia capacità di identificazione è molto grande e si identifica anche con la paura di morire in quel piccolo scarafaggio. Se poni la stessa domanda a un delinquente, lui considera un amico solo la mamma, e il resto è carne da macello: il livello evolutivo si misura con l’ingegno col quale riesce a identificarsi. Da questo punto di vista Lenin come mai sente il bisogno di salvare gli ultimi, di ridargli la possibilità di competere, di esistere? Come mai? Ecco, è il mistero della coscienza.

In realtà è un tema ridondante anche per Papa Francesco, questo degli ultimi.
In Papa Francesco è molto forte quest’esigenza, seppur lui ha una cultura che sta dietro e che lo indirizza in questo senso. Nel caso di Lenin, lui stesso direbbe che è un mistero assoluto in quanto la coscienza è la forza più innaturale che esiste, cioè non ha nulla a che fare con i livelli dell’istinto.

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