venerdì, 19 Aprile, 2024
Esteri

Iran. La morte di Mohsen Shekari rafforza la lotta contro il regime criminale

Il vento della rivoluzione da oggi ondeggia in modo ancora più pesante, ondeggia come il collo offerto, innocente come agnello sotto le fauci dei lupi, di Mohsen Shekari, il ragazzo impiccato l’8 dicembre in Iran, per aver protestato contro la barbarie e la ferocia del regime iraniano. Ondeggiano al vento i suoi 23 anni, porterà il vento il pozzo scuro dei suoi occhi, che i video ci hanno mostrato mentre guardava il futuro che scriveva per lui il giudice del tribunale del suo paese. Non un tremore di polsi ha scosso le mani che hanno firmato la sua condanna a morte, ma quella corda con cui hanno scelto di impiccare un ragazzo e le sue idee, la sua sete di pace, la sua indignazione per l’insensata morte dei suoi fratelli, il suo coraggio di sostenere la vita , che finché l’umano sarà umano non può che essere giusta e santa, continueranno a risuonare nel vento. Le sue parole silenziate col cappio attorno alle corde vocali, si moltiplicheranno e salteranno di vento in vento per raggiungere le porte di tutti e diventeranno un uragano.

Per chi invece ancora resta in silenzio, ancora può fare come se niente fosse accaduto, come se non fossero stati uccisi donne bambini cittadini innocenti, quelle morti arriveranno di notte a graffiare le porte delle loro coscienze. Il presidente Raisi aveva parlato di una mediazione: 11 condanne a morte per impiccagione e il cadavere di Mohsen, primo tragico testimone dell’esito di queste sentenze e della spietatezza di regime, sono quanto resta della capacità di trattativa del potere iraniano; nient’altro che esecuzioni capitali. Mohsen è stato arrestato e ritenuto colpevole di “moharebeh” (“inimicizia contro Dio”), blocco di una strada e ferimento di un paramilitare, con un processo che è una farsa, come hanno sostenuto anche le associazioni per i diritti umani, perché è chiaro che il regime, che in oltre 40 anni di repressioni, non ha mai voluto ascoltare né tantomeno proteggere il suo popolo, intende terrorizzare ancora di più i cittadini e scoraggiare, attraverso punizioni esemplari, la prosecuzione delle manifestazioni che stanno incendiando di spirito rivoluzionario tutto il paese.

La verità però non si può cancellare, non si potranno tagliare le corde vocali a tutti e la verità è che Mohsen non ha ucciso nessuno, è stata l’infame bilancia della legge iraniana, del tribunale rivoluzionario, a uccidere lui. Impiccato giovedì mattina, secondo la magistratura iraniana ha ammesso le sue colpe e poteva finire quindi diritto a giusto patibolo, in una realtà dove è stato pervertito il senso stesso delle parole, ma il suo volto tumefatto durante il processo ben esprime la non volontaria presa di coscienza dei suoi crimini, che non potevano essere pagati con pene inferiori alla consegna della sua stessa vita. Di cosa stiamo parlando? Fa male persino scriverla una follia e una crudeltà di questa portata da parte di uno stato. Il direttore della ong “Iran Human Rights”, Mahmood Amiry-Moghaddam, esorta alla presa di posizione internazionale, pena il “rischio di avere esecuzioni di manifestanti ogni giorno”, perché, come sostiene anche Amnesty International, ma come è ormai evidente agli occhi di tutti, le autorità iraniane stanno usando la pena di morte come strumento di repressione politica.

Il Governo Italiano ha condannato apertamente quanto accaduto, come espresso dal Ministro degli Esteri Antonio Tajani su Twitter: “In Iran la prima condanna a morte di un manifestante dall’inizio delle proteste è un punto di non ritorno. L’Italia e il suo governo esprimono forte condanna. Continueremo in ogni sede, con le nostre pressioni diplomatiche, a difendere la libertà e i diritti umani violati da Teheran”. Mentre tutto il mondo condanna, unanime, l’uccisione di Mohsen, il Ministero degli Esteri Iraniano, sempre su Twitter, accusa l’Occidente di ipocrisia e dichiara di aver usato “grande moderazione e metodi antisommossa proporzionati”.

Le testimonianze dei medici, che sono costretti a curare di nascosto le donne ferite per paura delle ripercussioni, fanno tetro rapporto della “moderazione” del Governo iraniano, raccontando di come la polizia colpisca le donne intenzionalmente al volto, al seno, ai genitali, per distruggere identità e bellezza della popolazione femminile. Questo scempio ha un nome preciso: volontà di cancellazione, volontà di negare alle donne la loro riconoscibilità e questa è una distruzione che ha a che fare con la nullificazione e che vuole raggiungere qualcosa che è addirittura oltre la morte: è negazione stessa dell’esistenza.

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