sabato, 27 Aprile, 2024
Società

Pensioni. Battuta d’arresto. I sindacati attendono risposte

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Impasse nel confronto sindacati-Governo sulle pensioni. Il vertice previsto oggi 7 al Ministero del Lavoro non si terrà. L’appuntamento era l’occasione per l’Esecutivo Draghi di dare le prime risposte alle richieste di Cgil, Cisl e Uil che nei precedenti incontri avevano presentato ipotesi di riforma su giovani, donne e pensione complementare, mentre resta da approfondire il tema più complesso della flessibilità in uscita.

Il dilemma dei fondi

Sul rinvio dell’incontro ci sono diverse ipotesi, da una pausa di riflessione dei ministri competenti, quello del lavoro, Andrea Orlando, e del tesoro e finanze, Daniele Franco, a quella di una verifica ulteriore dei costi e delle richieste presentate dai sindacati. Il quadro della riforma previdenziale rimane quindi ancora un abbozzo. Il tema della spesa resta cruciale, i conti sulle proiezioni previdenziali sono da mettere a punto, mentre il Ministero delle finanze mantiene un atteggiamento fortemente prudenziale. Secondo quanto si apprende, l’intenzione sarebbe di fare un ulteriore passaggio tecnico sul tema della flessibilità in uscita. Per Cgil, Cisl e Uil è necessario estendere la flessibilità nell’accesso alla pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.

Ai giovani la priorità

La riforma ha poi tasselli importanti a sostegno di giovani e donne che hanno la priorità. Per i giovani si lavora ad una pensione di garanzia, mentre una riforma della previdenza complementare sarà un argomento su cui ci sono convergenze politiche e nuovi studi. I sindacati in generale chiedono meno precarietà e contratti duraturi, quindi versamenti costanti. L’idea per i giovani sarebbe quella di assegnare contributi virtuali per coprire i periodi di studio, disoccupazione e lavoro di cura per l’assistenza dei familiari. In ballo ci sarebbero 1,5-1,6 anni di versamenti per ogni anno di lavoro, con l’incognita costi ancora da vagliare.

Donne, i nuovi vantaggi

Nella ipotesi di riforma c’è anche il capitolo donne. Si pensa a rendere strutturale Opzione donna, ma con una decisiva novità, quella di rendere possibile e gratuito il cumulo dei contributi versati in diverse gestioni ai fini del raggiungimento dei 35 anni contributivi necessari per uscire prima dal lavoro. In ipotesi anche un bonus contributivo virtuale da estendere ai periodi di maternità e a quelli di assenza “forzata” dal lavoro e in aggiunta un bonus o sconto di dodici mesi di versamenti per ogni figlio.

Intesa, percorso lungo

Il dialogo tra sindacati e Governo sarà improntato a nuove forme di collaborazione e di valutazioni di merito. I leader sindacali hanno posto delle condizioni, come quella che il Governo riconosca lo stato di grave difficoltà in cui versa i mondo del lavoro, con “salari bassi e troppa precarietà”, con la necessità di “rimettere al centro il lavoro e la qualità del lavoro”. Su questo aspetto così come il contrasto alla povertà salariale l’impegno del Governo come annunciato dal Ministro Orlando, ci sarà.

“Lo studio che abbiamo presentato”, osserva Orlando, “ha individuato una serie di fattori e vede lo stallo nell’ambito salariale che ha portato una cifra consistente di lavoratori in una situazione di povertà nonostante lavorino e abbiano tutto il diritto di andare sopra a quella soglia”.

Costi, il vero scoglio

Se c’è questa convergenza allora perché il confronto resta in salita? Come noto, il premier Mario Draghi ha chiarito che eventuali mosse di riforma delle pensioni dovranno essere sostenibili dal punto di vista contabile. Concessioni sono state già fatte con l’ampliamento allungamento dell’Ape sociale e l’ampliamento di Opzione donna. Così come il taglio dell’età approvato dal Parlamento per edili e ceramisti. La propensione all’utilizzazione dell’Anticipo pensionistico sociale si dovrebbe tradurre in 21.200 uscite, con un impatto sulle casse dello Stato di 141,2 milioni il prossimo anno e 275 milioni nel 2023, che si assottiglierà poi nei 12 mesi successivi. Costi relativamente bassi. Mentre per la riforma ponte voluta da Draghi con “Quota 102” per il solo anno in corso, il costo sarà di quasi 1,7 miliardi fino al 2025, partendo dai 176 milioni del 2022 e con un picco di 679,3 milioni nel 2023. Secondo il Mef, inoltre, “l’assegno medio con Quota 102 dovrebbe essere di 26mila euro annui”. Per quanto riguarda Opzione donna, dovrebbe aprire la strada il prossimo anno a 17mila assegni anticipati (su un totale di 29.500 ‘addette’ e ‘operatrici’ che saranno in possesso dei requisiti richiesti), per un costo di 111,2 milioni. Un flusso che dovrebbe salire a 28.200 trattamenti nei dodici mesi successivi e raggiungere il picco di 29.100 assegni nel 2024 (con una spesa vicina ai 500 milioni) per poi cominciare a decrescere. Le riforme – che singolarmente hanno costi contenuti – si collocano in numeri complessivi problematici. Lo Stato spende in tutto per le pensioni 301 miliardi di euro (pari al 16,8 per cento del Pil), con un +2,5 per cento rispetto al 2018. Di questi, circa 273 miliardi vanno nelle cosiddette “pensioni Ivs”: di invalidità, vecchiaia e superstiti. Cifre considerevoli rispetto ai lavoratori attivi. Per dirla con le parole del presidente Inps Pasquale Tridico: “un sistema non si può reggere su 23 milioni di lavoratori su una popolazione di 60 milioni”.

Il prossimo vertice

La prossima riunione tra Cgil, Cisl e Uil e i ministri Orlando e Franco si focalizzerà sulla flessibilità in uscita, che rimane il nocciolo della riforma. Su questo punto, un nuovo incontro tecnico potrebbe essere programmato per il 15 febbraio, e in quella settimana, a seguire, potrebbe poi tenersi l’incontro politico. Ammesso che le forze politiche di maggioranza trovino una intesa su cosa rispondere ai sindacati.

Pensioni. Aggiornato l’incontro. I sindacati attendono risposte

Battuta d’arresto per il confronto sindacati-Governo sulle pensioni. Il vertice previsto per lunedì 7 al Ministero del Lavoro non si terrà. L’appuntamento era l’occasione per l’Esecutivo Draghi di dare le prime risposte alle richieste di Cgil, Cisl e Uil che nei precedenti incontri avevano presentato ipotesi di riforma su giovani, donne e pensione complementare, mentre resta da approfondire il tema più complesso della flessibilità in uscita.

Il dilemma dei fondi

Sul rinvio dell’incontro ci sono diverse ipotesi, da una pausa di riflessione dei ministri competenti, quello del lavoro, Andrea Orlando, e del tesoro e finanze, Daniele Franco, a quella di una verifica ulteriore dei costi e delle richieste presentate dai sindacati. Il quadro della riforma previdenziale rimane quindi ancora un abbozzo. Il tema della spesa resta cruciale, i conti sulle proiezioni previdenziali sono da mettere a punto, mentre il Ministero delle finanze mantiene un atteggiamento fortemente prudenziale. Secondo quanto si apprende, l’intenzione sarebbe di fare un ulteriore passaggio tecnico sul tema della flessibilità in uscita. Per Cgil, Cisl e Uil è necessario estendere la flessibilità nell’accesso alla pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.

Ai giovani la priorità

La riforma ha poi tasselli importanti a sostegno di giovani e donne che hanno la priorità. Per i giovani si lavora ad una pensione di garanzia, mentre una riforma della previdenza complementare sarà un argomento su cui ci sono convergenze politiche e nuovi studi. I sindacati in generale chiedono meno precarietà e contratti duraturi, quindi versamenti costanti. L’idea per i giovani sarebbe quella di assegnare contributi virtuali per coprire i periodi di studio, disoccupazione e lavoro di cura per l’assistenza dei familiari. In ballo ci sarebbero 1,5-1,6 anni di versamenti per ogni anno di lavoro, con l’incognita costi ancora da vagliare.

Donne, i nuovi vantaggi

Nella ipotesi di riforma c’è anche il capitolo donne. Si pensa a rendere strutturale Opzione donna, ma con una decisiva novità, quella di rendere possibile e gratuito il cumulo dei contributi versati in diverse gestioni ai fini del raggiungimento dei 35 anni contributivi necessari per uscire prima dal lavoro. In ipotesi anche un bonus contributivo virtuale da estendere ai periodi di maternità e a quelli di assenza “forzata” dal lavoro e in aggiunta un bonus o sconto di dodici mesi di versamenti per ogni figlio.

Intesa, percorso lungo

Il dialogo tra sindacati e Governo sarà improntato a nuove forme di collaborazione e di valutazioni di merito. I leader sindacali hanno posto delle condizioni, come quella che il Governo riconosca lo stato di grave difficoltà in cui versa i mondo del lavoro, con “salari bassi e troppa precarietà”, con la necessità di “rimettere al centro il lavoro e la qualità del lavoro”. Su questo aspetto così come il contrasto alla povertà salariale l’impegno del Governo come annunciato dal Ministro Orlando, ci sarà.

“Lo studio che abbiamo presentato”, osserva Orlando, “ha individuato una serie di fattori e vede lo stallo nell’ambito salariale che ha portato una cifra consistente di lavoratori in una situazione di povertà nonostante lavorino e abbiano tutto il diritto di andare sopra a quella soglia”.

Costi, il vero scoglio

Se c’è questa convergenza allora perché il confronto resta in salita? Come noto, il premier Mario Draghi ha chiarito che eventuali mosse di riforma delle pensioni dovranno essere sostenibili dal punto di vista contabile. Concessioni sono state già fatte con l’ampliamento allungamento dell’Ape sociale e l’ampliamento di Opzione donna. Così come il taglio dell’età approvato dal Parlamento per edili e ceramisti. La propensione all’utilizzazione dell’Anticipo pensionistico sociale si dovrebbe tradurre in 21.200 uscite, con un impatto sulle casse dello Stato di 141,2 milioni il prossimo anno e 275 milioni nel 2023, che si assottiglierà poi nei 12 mesi successivi. Costi relativamente bassi. Mentre per la riforma ponte voluta da Draghi con “Quota 102” per il solo anno in corso, il costo sarà di quasi 1,7 miliardi fino al 2025, partendo dai 176 milioni del 2022 e con un picco di 679,3 milioni nel 2023. Secondo il Mef, inoltre, “l’assegno medio con Quota 102 dovrebbe essere di 26mila euro annui”. Per quanto riguarda Opzione donna, dovrebbe aprire la strada il prossimo anno a 17mila assegni anticipati (su un totale di 29.500 ‘addette’ e ‘operatrici’ che saranno in possesso dei requisiti richiesti), per un costo di 111,2 milioni. Un flusso che dovrebbe salire a 28.200 trattamenti nei dodici mesi successivi e raggiungere il picco di 29.100 assegni nel 2024 (con una spesa vicina ai 500 milioni) per poi cominciare a decrescere. Le riforme – che singolarmente hanno costi contenuti – si collocano in numeri complessivi problematici. Lo Stato spende in tutto per le pensioni 301 miliardi di euro (pari al 16,8 per cento del Pil), con un +2,5 per cento rispetto al 2018. Di questi, circa 273 miliardi vanno nelle cosiddette “pensioni Ivs”: di invalidità, vecchiaia e superstiti. Cifre considerevoli rispetto ai lavoratori attivi. Per dirla con le parole del presidente Inps Pasquale Tridico: “un sistema non si può reggere su 23 milioni di lavoratori su una popolazione di 60 milioni”.

Il prossimo vertice

La prossima riunione tra Cgil, Cisl e Uil e i ministri Orlando e Franco si focalizzerà sulla flessibilità in uscita, che rimane il nocciolo della riforma. Su questo punto, un nuovo incontro tecnico potrebbe essere programmato per il 15 febbraio, e in quella settimana, a seguire, potrebbe poi tenersi l’incontro politico. Ammesso che le forze politiche di maggioranza trovino una intesa su cosa rispondere ai sindacati.

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