La sentenza del Tar Lazio sulle cure domiciliari “nella sostanza non cambia nulla”. Parola di Filippo Anelli, Presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, intervistato sull’argomento per la trasmissione di Radioraiuno “In viva voce”.
La circolare del Ministero della Salute oggetto del ricorso, infatti, “nasce in un momento ben preciso, quando non avevamo cure”. “Oggi abbiamo gli anticorpi monoclonali, il nuovo antivirale da usarsi nelle fasi precoci della malattia – ha spiegato -. Allora si poteva solo agire sulle complicanze. Quelle del Ministero erano solo indicazioni, anche allora i medici erano liberi di prescrivere i farmaci a seconda dei sintomi. Il medico decide sempre sulla base del singolo paziente”.
“Di fronte a una malattia sconosciuta – prosegue Anelli -, parlo del marzo 2020, siamo andati per tentativi, abbiamo provato a utilizzare farmaci già noti come l’idrossiclorochina o l’azitromicina. Nel tempo si è visto che l’idrossiclorochina serve a ben poco, mentre gli antibiotici, come sappiamo, non funzionano sui virus e vanno usati se ci sono sovrapposizioni batteriche, scegliendoli in base al tipo di batterio. Sul territorio, soprattutto in emergenza, è più complicato fare indagini tipo l’antibiogramma e così abbiamo usato antibiotici a largo spettro. Ma, lo ripeto, gli antibiotici non funzionano sui virus”. “I farmaci antivirali ora sono disponibili ma ci perdiamo nella burocrazia – ha spiegato -.
La prescrizione va effettuata dallo specialista che recepisce la segnalazione del medico di famiglia; il farmaco va poi ritirato nelle farmacie ospedaliere o comunque nelle strutture. Noi avremmo preferito che fossero a disposizione nei distretti per poter essere utilizzati dai medici sul territorio”. E, sulla proposta di affidare i tamponi ai medici di famiglia: “Abbiamo un’organizzazione che non ci consente di fare tutto – ha affermato Anelli – . Oggi la vaccinazione ha la priorità sui tamponi, perché ci fornisce uno scudo. Se dotassimo di personale i medici di medicina generale sarebbe tutto più semplice”.
“Non è stata ben attuata la disposizione di legge che prevedeva le Usca – ha continuato – che servivano per assistere a domicilio i pazienti Covid, lasciando meno esposti i Medici di famiglia in un momento in cui non avevano neppure i necessari dispositivi di protezione, in modo che potessero dedicarsi alla cura delle altre patologie. Questa disposizione non è stata ben attuata a discapito dei cittadini e anche dei medici: la metà dei colleghi morti per Covid erano medici di famiglia”.
E anche oggi molte sono le problematiche che i medici di famiglia si trovano ad affrontare. “L’attività che maggiormente prende oggi il Medico di medicina generale, oltre a quella clinica, è quella di rispondere alle ansie e ai dubbi dei pazienti – ha concluso Anelli -. E siccome con il Covid oltre alle visite normali si sono aggiunte le comunicazioni tramite le nuove tecnologie, i pazienti coinvolgono, via messaggio, il medico a qualsiasi ora, anche la notte. Sono tante, e comprensibili, le ansie e le paure dei cittadini e quindi questa attività sovraccarica psicologicamente il medico, tanto che molti colleghi vanno in burnout”.