venerdì, 19 Aprile, 2024
Esteri

Erdogan, il tramonto del sultano

Crisi di leadership, inflazione al galoppo, moneta svalutata e scarsa affidabilità internazionale

Popolarità in forte calo per Erdogan. Le cause? Valuta nazionale al collasso, politiche fiscali disastrose, errori nella gestione dei conflitti regionali. La Turchia rischia anche l’isolamento internazionale perché le sue azioni diplomatiche e militari hanno tentato di modellare alcuni conflitti a proprio vantaggio. Gli avversarsi del leader turco potrebbero sconfiggerlo alle prossime elezioni

Recep Tayyip Erdogan gestisce le leve del potere dal 2003, come Primo Ministro fino al 2014 e poi come Presidente, sopravvissuto anche ad un tentativo di colpo di stato militare nel luglio 2016. Gli analisti hanno considerato Erdogan per molto tempo politicamente invulnerabile per due motivi: il forte sostegno politico del suo Partito per la giustizia e lo sviluppo (AKP) di orientamento islamista e la divisione dei suoi oppositori, vittime anche di una dura repressione che si è abbattuta anche contro i media, intimiditi o chiusi con la forza. Per consolidare il proprio potere dopo il tentativo di golpe, Erdogan ha fatto ricorso a detenzioni di massa, ha usato strumentalmente la retorica dell’antiterrorismo per perseguire i liberi pensatori turchi. È stato spietato soprattutto con gli associati al movimento del leader religioso Fethullah Gülen e, più in generale, ha calpestato i diritti umani, umiliato la società civile e offeso a più riprese anche i media internazionali. Ma il suo regno da autocrate sembra volgere al declino, con l’approssimarsi delle elezioni del 2023, che i suoi avversari vorrebbero anticipare anche per impedirgli di provare a recuperare consenso.

Il fallimento in economia

Il più grande fallimento della politica di Erdogan è stata l’economia con l’inflazione salita alle stelle, il crollo della lira che nel 2021 ha perso oltre il 40% del valore rispetto al dollaro USA, la peggiore tra tutte le valute dei mercati emergenti. Dietro questo disastro, oltre all’arroganza del potere c’è l’incompetenza di Erdogan. Ha ripetutamente fatto pressioni sulla Banca centrale, indipendente almeno sulla carta, per costringerla a ridurre il tasso di interesse principale, nonostante l’inflazione superi il 20%. Erdogan crede che alti tassi di interesse causino un’alta inflazione, l’esatto opposto del pensiero economico classico. Il 1° dicembre ha cambiato per la terza volta in un anno il ministro delle finanze insediando Nureddin Nebati, che difficilmente resisterà alla tracotante insistenza del Presidente  per l’ulteriore abbassamento dei tassi di interesse.

Opposizione in cerca di unità

I gravi problemi economici della Turchia hanno incoraggiato l’opposizione, a lungo divisa, a usare toni più moderati nelle politiche apertamente laiche e impopolari con i turchi rurali e anziani, ed a tentare di unificare politicamente le varie componenti per sfidare apertamente Erdogan. A fine novembre, grandi manifestazioni si sono svolte a Istanbul ed Ankara mentre la principale forza di opposizione, il Partito Repubblicano del Popolo, ha manifestato per chiedere le elezioni anticipate. Il calo di popolarità di Erdogan, insieme alla crescente unità tra i leader dell’opposizione, ha aumentato la possibilità che il Sultano possa essere sconfitto alle prossime elezioni presidenziali.

Le politiche regionali tra alti e bassi

Le politiche regionali di Erdogan, tuttavia, hanno raccolto alcuni significativi successi, dovuti in parte alla tecnologia militare sviluppata internamente dalla Turchia, come il drone armato Bayraktar. Nel novembre 2020, le forniture di droni all’Azerbaigian, un alleato di lingua turca, hanno consentito la sconfitta delle forze armene e la riconquista del territorio perduto dagli Azeri a metà degli anni ‘90. I droni armati turchi si sono rivelati decisivi nell’aiutare il governo di Tripoli, sostenuto dalle Nazioni Unite, a respingere nel 2019 il tentativo del leader dell’esercito nazionale libico Khalifah Haftar di prendere il controllo dell’intero territorio libico. Le forze turche rimangono tuttora impegnate in Libia in vista delle elezioni nazionali del 24 dicembre. Le vittorie degli alleati della Turchia in queste battaglie hanno contribuito a preservare gli interessi di sicurezza nazionale della Turchia stessa e a dimostrare le sue considerevoli capacità strategiche. Erdogan ha inoltre fornito all’Ucraina i suoi droni armati contro i separatisti filo-russi nel Donbas: un gesto di sfida contro il suo grande e potente vicino, la Russia. Non altrettanto successo hanno avuto le scelte di politica estera in aree limitrofe alla Turchia. In Siria, Erdogan ha evitato di combattere direttamente la Russia per il destino del regime del presidente Bashar al-Assad. Sebbene, inizialmente, abbia cercato di rovesciare Assad nella rivolta del 2011, la Turchia è arrivata alla fine ad accettare il suo potere. Nella speranza non di cacciare Assad ma, piuttosto, di scongiurare un’ulteriore crisi di rifugiati, la Turchia continua a sostenere i ribelli nel nord della Siria, compresi i gruppi islamisti precedentemente allineati con al-Qaeda, che ora sono confinati in gran parte nella provincia nord-occidentale di Idlib.

Le tensioni con gli Stati Uniti

Anche in Siria, Erdogan ha creato forti tensioni con gli Stati Uniti, utilizzando droni per attaccare le Forze democratiche siriane (SDF), un’alleanza militare, nonché uno dei principali partner di Washington nella lotta contro lo Stato islamico. Contrariamente alla posizione degli Stati Uniti, e a ogni evidenza, Erdogan sostiene che l’elemento centrale delle SDF, le Unità di protezione del popolo (YPG), sono una propaggine del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), con sede in Turchia, designata come gruppo terroristico sia da Washington che da Ankara. Le tensioni tra Stati Uniti e Turchia sono state ulteriormente acuite dall’acquisto del sofisticato sistema russo di difesa missilistica S-400, per il quale la Turchia è stata sanzionata nel dicembre 2020 ai sensi del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA). Tra le sanzioni c’era la rimozione della Turchia dalla partnership globale F-35 Joint Strike Fighter. Una misura che, sicuramente, Erdogan si aspettava, ma che sarebbe stata ammorbidita dal sedicente sostegno dei russi, che, di recente, hanno dovuto ricredersi sulle politiche avventate e sleali del leader turco, specialmente dopo la fornitura dei droni armati all’Ucraina. Le amministrazioni degli Stati Uniti avevano ringraziato la Turchia per il suo aiuto nella messa in sicurezza di Kabul, ma tale ruolo è stato messo in crisi dall’acquisizione dell’Afghanistan da parte dei talebani ad agosto.

Difficili relazioni con i Paesi Arabi

La forza militare della Turchia e i successi strategici nella regione hanno creato difficoltà ai tentativi di Erdogan di ridurre l’isolamento della Turchia. Negli ultimi sette anni, le strette relazioni di Ankara con il Qatar e le sue alleanze in Libia, Siria, Egitto e altrove, l’hanno collocata dalla parte opposta rispetto alle posizioni di alcuni stati chiave del Golfo, tra cui l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (EAU). Quando nel 2017 l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ruppero le relazioni diplomatiche con Doha, chiesero di chiudere le basi turche in Qatar. Le controversie all’interno del Golfo sembrano, ora, in via di risoluzione. La visita di novembre ad Ankara del leader di fatto degli Emirati Arabi Uniti, Mohammad bin Zayid Al Nuhayyan, nonché un possibile incontro tra Erdogan e il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman alla fine di dicembre, indicano che i due stati del Golfo non hanno più voglia di sfidare l’influenza strategica della Turchia. Erdogan ha migliorato le relazioni con l’Egitto e anche con Israele, che, prima della sua ascesa al potere, era un alleato strategico della Turchia. Tuttavia, un’ampia gamma di osservatori sostiene che, nonostante la sua lunga campagna di repressione contro l’opposizione, il futuro di Erdogan dipenda in gran parte dalla sua capacità di arrestare il declino economico, e che le conquiste regionali, da sole, non importa quanto significative, non faranno rivivere le sue fortune in politica interna.

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