venerdì, 19 Aprile, 2024
Cultura

Roncalli a Istanbul

Nel 1935 la visita del futuro papa nella Turchia laicista di Ataturk

Al viaggiatore che ha fatto di Istanbul una delle mete del nuovo turismo europeo potrà sembrare strano che, dietro la cattedrale del Santo Spirito, nel quartiere europeo della metropoli sul Bosforo, esista una “papa Roncalli sokak” (“via” in turco), lì a pochi passi da dove si trovava la residenza del delegato pontificio in città.

Una traccia di una presenza mai scordata che si aggiunge alla statua di Giovanni XXlll° inaugurata da Benedetto XVl° nel suo viaggio ad Istanbul.

Angelo Giuseppe Roncalli arrivò in Turchia nel gennaio del 1935. Era stato nominato delegato apostolico nel novembre del 1934 e l’incarico comprendeva anche la delegazione greca. Proveniva dalla Bulgaria dove aveva trascorso anni difficili, lunghi, quasi dimenticato da Roma.

Eppure nelle sue lettere, negli scritti, non traspare mai amarezza o frenesia di incarichi più prestigiosi, né si lamenta di una sede defilata e così poco in vista. La sua, peraltro, era una carriera diplomatica abbastanza anomala. Non proveniva dall’ Accademia dei Nobili di piazza della Minerva (oggi Pontificia Accademia Ecclesiastica) ma la sua indole equilibrata non era sfuggita, negli anni romani, né la sua capacità di apertura al confronto, nella solidità di una formazione tradizionale; qualità affinate nella lunga vicinanza con mons. Radini Tedeschi che lo aveva voluto con sé a Bergamo.

L’arrivo ad Istanbul fu decisamente sottotono. La Turchia laicista di Kemal Ataturk non riconosceva ufficialmente l’esistenza della rappresentanza pontificia e mons. Roncalli si muove con discrezione: nessun ingresso in pompa magna, si presenta all’ufficio di polizia, ottiene il documento e si occupa immediatamente del suo piccolo gregge: 35mila cattolici, divisi nei vari riti. Poco più di una testimonianza in un territorio vasto, destinata a ridursi ulteriormente nel tempo fino a diventare, ai giorni nostri, una presenza simbolica.

Eppure Roncalli non si scoraggia: dilata quei comportamenti già adottati in Bulgaria fino a farli diventare un vero programma pastorale.

Già dal gennaio del 1936 introduce nelle funzioni religiose la lettura di preghiere e canti in lingua turca, suscitando consensi nel mondo musulmano e contestazioni nella comunità occidentale, soprattutto francese. E questo atteggiamento di apertura al mondo orientale prosegue con gli ortodossi usando, anche in questo caso, la liturgia: cura le celebrazioni con particolare solennità, stabilendo un rapporto personale con il patriarca Beniamino che visita al Fanar.

In occasione della cerimonia funebre in suffragio per la morte di Pio Xl° invita i rappresentanti del mondo ortodosso in cattedrale. Farà la stessa cosa, poco dopo, in occasione del Te Deum di ringraziamento per l’elezione di papa Pacelli.

Si parla di “trialogo” religioso, una sorta di dialogo a tre con ebrei e musulmani. Leggendo le sue omelie non si scorge nessuna enfasi, nessun moralismo della condanna: anticipazioni di quella pastorale dell’incontro che caratterizzerà il pontificato.

Il contesto in cui vive non è facile ma mons. Roncalli instaura ottimi rapporti con le autorità. Quando entrò in vigore la norma che imponeva l’abito civile in pubblico a tutti i ministri di culto diede l’esempio e consigliò al clero di acquistare abiti civili adeguati.

Numerose fotografie dell’epoca lo ritraggono visitare ospedali, orfanotrofi, carcerati. Si muove per le strade di Istanbul a piedi o in tram, non ha automobile. Attraversa il paese per visitare minuscole comunità lontane, centinaia e centinaia di chilometri in viaggi massacranti. Uno stile che proseguirà in Francia, come nunzio,
provocando talora malumore in Segreteria di Stato che deve rincorrerlo. Ma il diplomatico Roncalli non è uomo da scrivania. Lo dimostra negli anni bui e terribili della guerra.

La Turchia, rimasta neutrale, diventa un crocevia di interessi e spionaggio. Scoppia la tragedia dei campi di sterminio. Su questo periodo molto è stato scritto. Basti ricordare che grazie ai suoi rapporti con Franz Von Papen, ex cancelliere e ambasciatore tedesco e re Boris di Bulgaria, riuscirà a portare in salvo migliaia di ebrei, ottenendo visti di transito, offrendo assistenza all’Agenzia ebraica, mettendo a repentaglio la sua stessa incolumità. Si calcola che il delegato apostolico abbia aiutato concretamente circa 25mila ebrei.

Molte testimonianze, raccolte successivamente, descrivono quest’opera tenuta da Roncalli in prima persona, in solitudine, senza coinvolgere collaboratori e cercando con ogni mezzo di stare lontano dai riflettori.

Il suo sforzo per entrare nella cultura dei luogo è costante.

Nonostante non fosse portato per le lingue, cerca di imparare parole in turco e si ferma a parlare con tutti coloro che avvicina, rammaricandosi dei suoi scarsi progressi nell’apprendimento della lingua.

Nel “Giornale dell’Anima” parla di questa città: “Osservo tutte le sere un assembrarsi di barche sul Bosforo; spuntano a decine, a centinaia dal Corno d’oro; si radunano a un posto convenuto e poi si accendono, alcune più vivacemente, altre meno, formando una fantasmagoria di colori e di luci impressionante. Credevo che fosse una festa sul mare per il Baraim che cade in questi giorni. Invece è la pesca organizzata delle palamite, grossi pesci che si dice vengano da punti lontani del Mar Nero. Queste luci durano tutta la notte, e si sentono le voci gioiose dei pescatori. Lo spettacolo mi commuove”.

Una poetica delle piccole cose anticipatrice di quel lirismo che ritroveremo nel “Discorso alla luna” fatto in piazza San Pietro nei giorni del Concilio. Specchio di un’animo rimasto semplice in età adulta, capace di farsi amare dagli umili e di entrare in sintonia con persone di ogni censo e condizione.

Scriverà nei suoi ricordi il presidente francese Vincent Auriol che il giorno in cui, all’ Eliseo, in virtù di un’antica consuetudine impose la berretta cardinalizia al nunzio (di lì a poco nominato Patriarca a Venezia) non fu tanto impressionato dalla porpora e dalla solennità del cerimoniale ma dai volti contadini dei fratelli e dei parenti fatti venire da Sotto il Monte a fargli corona. Una scena capace di commuovere il vecchio presidente ateo e socialista.

Eppure questo candore di spirito si coniuga con una lucida azione diplomatica. E in ore convulse mons. Tardini, con un messaggio cifrato, lo informa della nomina a nunzio in Francia, dove De Gaulle minaccia di decapitare la gerarchia ecclesiastica, accusata di connivenza con il regime di Vichy. Anche lì mons. Roncalli metterà in evidenza il suo tratto dialogante e attento, risolvendo con equilibrio il conflitto tra S. Sede e Repubblica Francese.

Così lascia la Turchia, il 27 dicembre 1944. Roncalli ha passato vent’anni della sua vita in due paesi di confine, a cavallo tra Occidente e Oriente. Ha avuto in custodia delle piccole comunità, un gregge disperso, un ruolo poco rappresentativo se lo si guarda da un punto di vista di carriera diplomatica, di prestigio personale. Ma, in quegli anni, è già visibile la chiave di molti comportamenti di papa Giovanni XXlll°.

“Io amo la Turchia” . In ogni luogo dove è passato Roncalli ha lasciato tracce di sé . Segni che hanno generato frutti in anni successivi.

L’11 giugno 1959 in seguito alla visita di Celal Bayar, presidente della Repubblica di Turchia, al nuovo papa Giovanni XXlll°, il Vaticano e la Turchia decisero di istituire delle rappresentanze ufficiali e nel gennaio del 1961 il primo nunzio arrivò ad Ankara.

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