mercoledì, 24 Aprile, 2024
Lavoro

Smartworking per oltre 5 milioni di lavoratori

Accantonate le esitazioni della prima ora, lo smart working è diventato un pilastro dell’era Covid tanto che verrà confermato per oltre 5milioni e 350 mila lavoratori anche dopo la fine dell’emergenza pandemica. Per ora è stato prorogato fino al 31 dicembre sia per i dipendenti pubblici sia privati. Chi ha svolto il lavoro da remoto ne conosce i pregi e i difetti. Non è stato, difatti, sempre facile trovare l’equilibrio tra lavoro e vita privata, gestire in autonomia il proprio impegno, superare i problemi tecnologici. Ma soprattutto creare un argine alle richieste da parte dei datori di lavoro che non avevano più il vincolo stringente della temporizzazione dell’orario di ufficio.
PARTENZA STENTATA

La partenza non è stata affatto “smart” a causa di una alfabetizzazione informatica per la quale l’Italia ancora non brilla. Secondo l’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, il 50% delle PMI non ha potuto operare da remoto durante il lockdown. Un terzo (33%) dei manager non erano in grado di gestire il lavoro da casa e un lavoratore su tre (il 28%) non è riuscito a trovare il giusto equilibrio fra lavoro e vita privata. Ma l’esperienza alla fine è piaciuta alle aziende e sembrerebbe che diventerà una “nuova normalità”, visto che il 70% delle grandi imprese proseguirà nello smart working anzi lo incrementerà, portandolo a una media di 2,7 giornate lavorative alla settimana e 1 su 2 modificherà addirittura gli spazi fisici. Nelle PA saranno introdotti progetti di smart working (48%), aumenteranno le persone coinvolte nei progetti (72%) e si lavorerà da remoto in media 1,4 giorni alla settimana (47%).

PRO E CONTRO DELLO SMART WORKING

Se ai lavoratori rimasti in prima linea nei mesi dell’emergenza, negli uffici, agli sportelli e nelle corsie, i problemi di chi lavorava da casa sono sembrati marginali e poco importanti, in realtà rischi insiti reali ne esistono – dai demansionamenti, ai tagli di retribuzione e persino ai licenziamenti –  e bisognerà tenerne conto fintanto che il legislatore non indicherà le nuove regole da inserire nei contratti Nazionali di lavoro. Per la dottoressa Sofia Tavella, dirigente psicologa nei centri di salute mentale di alcune Asl del Lazio, esperta in BurnOut o sindrome da esaurimento da lavoro, “lo smart working è un adattamento che può diventare un ‘iperadattamento’, che può spingerci verso la perdita della temporalità o una pigrizia patologica. I campanelli d’allarme sono i segnali psicosomatici che vanno da una propensione alla asocialità fino alla apatia”. Ma lo smart working non è del tutto negativo, è una trasformazione possibile. Sempre secondo la dottoressa Tavella: “Il profilo dei lavoratori del futuro passa per la ‘rifondazione’ del lavoro, e, quindi, una diversa formazione al lavoro. Lo smart working è una facilitazione che ci obbliga ad un esercizio mentale, rappresenta una palestra per aumentare la gestione di sé stessi, le capacità organizzative e le proprie competenze tecnologiche”.

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