venerdì, 15 Novembre, 2024
Esteri

Intervista. Ardesi: Tunisia, democrazia in crisi. Tentazione golpista di Saïed?

Luciano Ardesi, sociologo, pubblicista e scrittore, esperto di Nord-Africa

Cosa resta in Tunisia delle proteste cominciate tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, la “Primavera araba?” Sicuramente la voglia di ribellarsi ai sistemi che affamano il popolo e alla classe politica corrotta e incapace, ma purtroppo non molto di più. Abbiamo chiesto al sociologo Luciano Ardesi, esperto di Nord-Africa, di aiutarci a comprendere l’attuale situazione.

Dopo l’esilio del dittatore Zine El-Abidine Ben Ali nel 2011, le aspettative, soprattutto da parte dei giovani, erano tante. Cosa è stato ottenuto effettivamente?
Per prima cosa nel 2014 la Tunisia vara una nuova Costituzione e nel 2019 elezioni democratiche portano a Capo dello Stato il giurista anti-corruzione e indipendente Kaïs Saïed, che per prima cosa disse: “Ringrazio i giovani che hanno aperto una nuova pagina”. Voleva rappresentare il nuovo che avanza.

In ogni caso, nell’ultimo decennio la Tunisia non sembra essere stata granché fortunata…
In effetti, sono stati tanti i problemi che hanno minato la pace sociale. Nel 2015 i gravi attentati di matrice terroristica hanno fatto scappare i turisti, tra le maggiori leve dell’economia tunisina. Il tempo di mettere in campo azioni per far ripartire i flussi turistici ed ecco che arriva il Covid che aggrava, fino a farla precipitare, la situazione sociale e soprattutto sanitaria, già non molto solida per quanto riguarda gli ospedali pubblici. In questo periodo pandemico, è mancato un po’ di tutto, dall’ossigeno ai reparti di terapia intensiva, e i veri numeri dei contagi e dei morti vengono tutt’ora tenuti nascosti. Nel frattempo, tra gli attentati e il Covid, una classe politica che non è stata in grado di riformarsi, legittimando corruzione e il profondo divario tra ricchi e poveri.

E arriviamo ai giorni nostri. È il 25 luglio, Festa della Repubblica tunisina. Il popolo, soprattutto i giovani, stremati dalla profonda crisi economica, politica, sociale e sanitaria, riscendono in piazza.
Il fulcro della crisi è quel braccio di ferro tra i tre presidenti (della Repubblica, Kaïs Saïed; del parlamento, Rached Ghannouchi; del governo, Hichem Mechichi), che da mesi impedisce il normale funzionamento delle istituzioni. Kaïs Saïed coglie la palla al balzo ed esautora parte del governo (il primo ministro e i ministri della difesa e della giustizia). Contestualmente blocca per 30 giorni le attività del parlamento in nome dell’articolo 80 della Costituzione, che recita: “In caso di pericolo imminente e di minaccia per l’integrità dello Stato […], il presidente della Repubblica è autorizzato a prendere misure eccezionali”, senza, però, specificare quali. Il problema è che, sempre secondo la costituzione, avrebbe dovuto consultare il presidente del parlamento (che però non è potuto entrare nei suoi uffici perché il palazzo è presidiato dall’esercito) e la Corte Costituzionale, che non si è mai insediata perché mancano i 4 membri eletti dal parlamento a causa dei dissensi tra i partiti. 

Ma chi è realmente Kaïs Saïed?
Un uomo frugale e all’apparenza onesto, che si è contrapposto al partito di maggioranza relativa islamista Ennahdha, ma sotto sotto senza discostarsene granché, quantomeno dal sistema valoriale. “La democrazia parlamentare non funziona”, è stato il suo cavallo di battaglia già in campagna elettorale, poi si è opposto alla parità tra uomo e donna nella successione.

Siamo, quindi, all’alba di un nuovo regime dittatoriale?
Se si tratti di un vero e proprio colpo di stato è ancora presto per dirlo. Allo stato attuale Kaïs Saïed non ha sospeso la costituzione e l’esercito non sta svolgendo funzioni repressive, tipico dei golpe. Potrebbe ancora indire nuove elezioni anticipate, non possiamo fare altro che aspettare a vedere.

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