lunedì, 23 Dicembre, 2024
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Mortalità infantile, in Italia un tasso ancora troppo elevato

Ogni giorno, nel nostro Paese, secondo i dati più recenti, muoiono 6 bambini di cui 3 entro i primi 7 giorni di vita. Nel mondo 3 milioni di famiglie. Se prendiamo come esempio la Lombardia sono state fatte 5,1 ecografie per ogni parto su una media nazionale di 5,5 con valori regionali variabili tra 3,8 in Piemonte e 7,1 in Sardegna. Nell’ambito delle diagnosi prenatali l’amniocentesi è quella più usata con 4,9 in Lombardia rispetto al dato nazionale di 6,2. Non c’è una causa unica e talvolta le motivazioni non sono note. Il tasso di mortalità infantile, che misura la mortalità nel primo anno di vita è ancora elevato: in Italia 2,81 bambini ogni mille nati vivi, mentre in Lombardia, 2,77. Parlarne è doloroso ma è necessario farlo per completezza di informazione.

“La prima cosa che però i genitori ci chiedono non è tanto di ottenere il risarcimento per la perdita di chance o del vincolo parentale, quanto di aiutarli a capire perché sia successo, se trattasi di un caso di malasanità e se era evitabile – commenta Andrea Marzorati, esperto in responsabilità medica con www.impegnosalute.com – Un peso anche di natura psicologica – prosegue – una madre che perde un figlio alla nascita, infatti, spesso subisce un danno biologico psichico permanente. Il pensiero generalmente si caratterizza per una polarizzazione sulla morte del figlio, con un continuo ripensare sulle cause e sugli interventi non attuati che avrebbero potuto salvarlo. Una relazione psichiatrico forense potrebbe eventualmente evidenziare un quadro menomativo costituito da esiti di natura neuropsicopatologica caratterizzati prevalentemente da sindrome ansioso-depressiva e post traumatica. Le condizioni della madre vengono valutate dal Consulente tecnico tenendo anche conto dei criteri diagnostici del DSM 5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) potendo, infatti, a volte configurarsi un Disturbo dell’Adattamento con Ansia e Umore Depresso Misti Persistente”.

“Anche nel padre può insorgere un quadro ansioso-depressivo, caratterizzato da umore depresso, disforia, sentimenti di perdita di speranza, preoccupazione o irrequietezza ma anche limitazione della vita relazionale e riduzione della progettualità futura, manifestazione di ansietà o disagio a fronte di pensieri, ricordi, situazioni ricollegabili all’evento traumatico.

Nonostante il trattamento psicologico, non sono rari i casi contraddistinti da un decorso cronico e prolungato nel tempo, rappresentando un’evenienza comune in risposta a fattori di stress stabili” conclude.
Secondo il Certificato di assistenza al parto (CeDAP) pubblicato dal Ministero della Salute nel 2020, i dati rilevati per l’anno 2017 evidenziano che, a livello nazionale, l’89,5% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, il 10,4% nelle case di cura e solo lo 0,1% altrove (in altra struttura di assistenza o – come descritto nel film – nel domicilio). In particolare, su 452.270 parti avvenuto in Italia, il 0,08 è avvenuto ai domiciliari. Nel 2020, a causa del Covid, si è registrato un lieve incremento del numero di parti a casa, per il timore delle neomamme di contrarre l’infezione in ospedale, ritenendo così più sicuro il proprio domicilio.

Secondo uno studio realizzato nel 2019 dalla Ben-Gurion University of the Negev (Israele), ripreso in Italia anche della Società Italiana di Neonatologia (SIN), è stato evidenziato che con il parto in casa il rischio di complicazioni per mamma e neonato si triplica e la possibilità di mortalità neonatale è 2,6 volte maggiore rispetto ad un parto in ospedale. Tuttavia, altri studi, come quello di Hutton del 2019, in Paesi con servizi di parto a domicilio più o meno integrati, sembrerebbe ridurre in modo significativo il divario tra parto a casa rispetto a quello nelle strutture pubbliche e private. Peraltro – prosegue l’avvocato – “è innegabile che, in caso di complicanze, l’assistenza che madre o figlio possono ricevere in una struttura sanitaria sia più ampia rispetto a quella domiciliare. Pur se in presenza di un’ostetrica formata per la rianimazione e con comprovata esperienza di assistenza al parto a casa, esistono infatti molti eventi avversi che possono essere affrontati solo nella struttura sanitaria. Ci sono poi casi in cui si deve ricorrere al taglio cesareo in luogo del parto naturale, non potendo quindi la donna optare per il parto domiciliare. Il taglio cesareo programmato può essere necessario, tra l’altro, in caso di placenta previa, o di feto con posizione podalica con manovre che non riescono o non si possono attuare, o in caso di feto con un peso stimato uguale o oltre i 4,5 Kg, o in presenza di talune infezioni della madre che il feto potrebbe contrarre passando dal canale del parto”.

“Sono convinto che i racconti di esperienze vere che rivelano dettagli personali ed emotivi possano suscitare reazioni avverse nei confronti di chi rende pubblico un fatto che potrebbe restare un ‘dolore privato’, ma nel contempo generano solidarietà e vicinanza perché servono per tutte le altre donne”.

Anche per questo il 6 giugno di ogni anno ricorre la ‘Giornata Internazionale del Parto in Casa’, mentre a ottobre, il 15, si celebra il ‘BabyLoss Awareness Day’, la giornata mondiale della consapevolezza sul lutto in gravidanza e dopo la nascita, in nome di quei bambini che non ci sono più ma che sono esistiti e meritano un’identità nella memoria dei genitori e della società.

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