Il populismo è una malattia della democrazia che la corrode dall’interno sfruttando con cinismo le sue debolezze e incertezze e proponendosi come ancora di salvezza e dispensatrice di certezze.
Il populismo semplifica brutalmente i problemi, declama soluzioni altisonanti non concretamente praticabili ma che catturano l’attenzione delle grandi masse, dispensa slogan basati sulla contrapposizione manichea amico/nemico, eccita gli animi confondendo le idee, in nome del popolo chiede una fiducia incrollabile e incondizionata nel “capo” di turno.
Il populismo ostenta il decisionismo e lo contrappone all’ignavia di chi galleggia sui problemi chiacchiera e non decide, si propone come rivoluzionario e radicale
rispetto a una morta gora conservatrice del presente e incapace di trovare soluzioni.
Indubbiamente l’armamentario psico-sociale del populismo esercita un fascino perverso, crea una sorta di ottundimento mentale attraverso la litania ripetuta di slogan, l’esibizione di una democrazia muscolare, l’affabulazione sistematica di presunte soluzioni in pillole.
Come combattere questa forma di “democrazia stupefacente” che lentamente disinnesca le capacità critiche creando un’estraniazione dalla realtà proprio mentre appare come proposta politica iper-concreta e realistica?
C’è un solo modo: quello di contrapporgli un riformismo forte, coraggioso, dotato di grandi visioni ma di estrema concretezza e rapidità di azione, capace di portare in tempi ragionevoli risultati palpabili e di disinnescare problemi ad alta sensibilità sociale.
Esattamente quello che non sta succedendo in Italia.
Il Governo è nato per alzare un argine al principe dei populisti, Matteo Salvini, peraltro anche nazionalista e ostile all’Europa. Ma si ha l’impressione che né Conte né Zingaretti abbiano pienamente colto la portata della partita. Quanto ai 5 Stelle, loro sono, in un certo senso, parte del problema essendo in questa coalizione la componente populista. È vero che il loro populismo non può contare sulla sponda leghista e che, avendo dovuto fare marcia indietro su Ilva, Tav e Tap, i seguaci di Grillo hanno perso per strada gran parte del loro fardello, ma rimangono ancora legati alla retorica dove pensano -sbagliando- di ritrovare un senso e un’identità.
Quello che Conte e Zingaretti non capiscono è che loro hanno una vasta prateria da occupare sia per contrastare Salvini sia per spegnere gli ultimi fuochi massimalisti e populisti dei 5 Stelle. Ma per farlo devono essere protagonisti di un riformismo forte e non debole, annacquato, timido e paralizzato dalle mediazioni infinite.
Conte è un neofita della politica e quindi può non avere la giusta cultura di governo anche se ha dimostrato grandi capacità di cogliere i fenomeni nuovi e di saperli in qualche modo interpretare. Ma è il Pd che ha una lunga storia, una classe politica sperimentata e di qualità che deve prendere l’iniziativa e dimostrare di saper volare alto senza impantanarsi nell’indecisionismo che offre argomenti ai populisti di destra.
Un esempio? Sulla prescrizione modello Bonafede, il Pd invece di tentare una mediazione che cerchi di salvare capra e cavolo, dovrebbe avere il coraggio di porre la questione della Giustizia come emergenza nazionale e delineare una politica di interventi straordinari organizzativi, amministrativi, legislativi adeguatamente supportati da risorse per dimostrare che il vero problema non è la prescrizione corta o lunga ma l’ingiustizia di processi interminabili, capaci di portare risultati nel giro di un anno. Solo con grandi riforme si contrasta e si sconfigge il populismo.