sabato, 16 Novembre, 2024
Società

Buoni pasto, imprese della ristorazione dicono “basta”. Tutte le sigle unite: troppi oneri, agli esercenti conto salato per errori altrui

“Più che un grido d’allarme è una forte presa di posizione”. A dirlo in coro con un: “basta con i buoni pasto” – e le loro tasse occulte che ricadono sugli esercenti -, sono tutte le associazioni di categoria che rappresentano le imprese della distribuzione e della ristorazione: Fipe Confcommercio, Federdistribuzione, ANCC Coop, Confesercenti, FIDA e ANCD Conad; per la prima volta riunite in un tavolo di lavoro congiunto per dire: “senza correttivi urgenti, a partire dalla revisione del codice degli appalti nella pubblica amministrazione, la stagione dei buoni pasto potrebbe essere destinata a concludersi presto”.

Ammoniscono le associazioni. Un sistema quello dei buoni pasto che, secondo le imprese della distribuzione e della ristorazione, è al collasso e, “se non ci sarà un’inversione di rotta immediata, quasi tre milioni di dipendenti pubblici e privati potrebbero vedersi negata la possibilità di pagare il pranzo o la spesa con i ticket”.

A fare il punto della situazione e illustrare le iniziative in programma, sono stati i rappresentanti delle sei categorie nel corso di una conferenza stampa: Lino Enrico Stoppani, presidente della Fipe, Donatella Prampolini, presidente Fida, Luca Bernareggi, presidente ANCC Coop, Corrado Luca Bianca, Coordinatore nazionale FIEPeT Confesercenti, Sergio Imolesi, segretario generale ANCD Conad e Claudio Gradara, presidente Federdistribuzione. “L’attuale sistema genera una tassa occulta del 30% sul valore di ogni buono pasto a carico degli esercenti”, si legge nella nota delle associazioni, “In pratica, tra commissioni alle società emittitrici e oneri finanziari, i bar, i ristoranti, i supermercati e i centri commerciali perdono 3mila euro ogni 10mila euro di buoni pasto incassati che accettano. E’ l’effetto delle gare bandite da Consip per la fornitura del servizio alla pubblica amministrazione, che hanno spinto le commissioni al di sopra del 20%”.

Ecco perchè i vertici delle sei associazioni di categoria hanno deciso di scrivere al ministro dello Sviluppo Economico e al ministro del Lavoro, chiedendo di rivedere l’intero sistema con l’obiettivo di garantire il rispetto del valore nominale dei buoni pasto lungo tutta la filiera. “E’ evidente”, sottolineano le associazioni, “che lo Stato non può far pagare la propria spending review alle nostre imprese. Così facendo si mette a rischio un sistema che dà un servizio importante a 3 milioni di lavoratori ogni giorno e si mettono in ginocchio decine di migliaia di imprese. Nessuno può dimenticare che il buono pasto è un servizio che già gode di agevolazioni importanti in termini di decontribuzione e defiscalizzazione”. È stato anche deciso di di avviare un’azione di responsabilità nei confronti di Consip, “per aver ignorato gli allarmi sulla vicenda Qui!Group che dopo essere stata dichiarata fallita a settembre 2018 ha lasciato 325 milioni di debiti di cui circa 200 milioni verso gli esercizi convenzionati”. Ogni giorno circa 10 milioni di lavoraratori pranzano fuori casa. Di questi 2,8 milioni sono dotati di buoni pasto e il 64,7% li utilizza come prima forma di pagamento ogni volta che esce dall’ufficio. Si stima che nel 2019 siano stati emessi in italia 500 milioni di buoni pasto, di cui 175 milioni acquistati dalle pubbliche amministrazioni. Ogni giorno i dipendenti pubblici e privati spendono in bar, ristoranti, supermercati ed esercizi convenzionati 13 milioni di euro in buoni pasto.

La stazione appaltante per il servizio dei buoni pasto all’interno della pubblica amministrazione, Consip, effettua le gare formalmente con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma al massimo ribasso. “Nel corso dell’ultima gara aggiudicata a fine 2018, i 15 lotti, dal valore complessivo di 1 miliardo di euro, sono stati assegnati con uno sconto medio del 20% e con picchi al di sopra del 22%. Uno schema”, proseguono le associazioni nella loro nota di protesta, “identico a quello del 2016, quando il ribasso medio si è assestato attorno al 15%. Questo livello di sconti, una volta sdoganato dal pubblico, sta diventando di riferimento anche per le gare private”.  Risultato: un esercente vende prodotti e servizi per valore di 8 euro ma ne incassa 6,18. Aggiungendo a queste commissioni altri oneri finanziari, su buoni pasto del valore di 10mila euro, gli esercizi si vedono decurtare 3mila euro.

Non solo c’è il caso emblematico del caso “Qui!Group”.

In seguito al fallimento della principale società fornitrice di buoni pasto alla pubblica amministrazione, la Qui!Group di Genova, migliaia di piccole e grandi aziende della ristorazione e della distribuzione commerciale si sono ritrovate con circa 200 milioni di euro di crediti che sarà molto difficile riscuotere.

I rimborsi previsti, trattandosi di creditori chirografari, difficilmente arriveranno a coprire il 10% del credito, praticamente il valore dell’iva che i titolari dei locali hanno già anticipato allo Stato. “Eppure Consip, “sostengono le associazioni, “era a conoscenza già agli inizi del 2017 delle difficoltà della società di rimborsare i buoni pasto. Per questo il tavolo delle associazioni ha deciso di avviare un’azione di responsabilità nei confronti della Consip per omesso controllo”.

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