venerdì, 19 Aprile, 2024
Politica

Un nuovo paradigma per la globalizzazione

La pandemia ha avuto tre storiche conseguenze sulla visione della globalizzazione , il paradigma in cui siamo immersi da almeno 30 anni.

La prima. Ha dimostrato che di fronte ad emergenze che vanno oltre i confini nazionali, la diffusione del virus ad esempio, serve una cooperazione internazionale rafforzata, uno scambio di informazioni più rapido e trasparente e una certa forma di solidarietà per aiutare chi subisce le conseguenze più gravi di un’emergenza. Questa lezione sembra essere stata capita e vedremo se l’OMS si darà nuove regole e se tutti i Paesi collaboreranno come finora non è stato.

 

EVITARE SUDDITANZE IN SETTORI STRATEGICI

La seconda conseguenza, che sembra in controtendenza con la prima  riguarda la necessità per ogni Paese o aggregazione di Paesi di avere una relativa autosufficienza nella produzione di beni e servizi di rilevanza strategica. Il tema è complesso.

In primo luogo questo significa accorciare la catena della produzione e distrubizione oggi frammentata in vari Paesi per evitare che -come è successo in questa pandemia-il blocco sanitario ( o per effetto di una catastrofe naturale) di un Paese possa provocare una sorta di infarto nella circolazione di prodotti e servizi erogati da quegli Stati con pesanti ripercussioni sui cicli produttivi.

In secondo luogo, è parso evidente che su alcuni beni e servizi ogni Stato o aggregazione di Stati dovrebbe potersi sentire relativamente autosufficiente per evitare di dipendere da altri che potrebbero usare questo potere per condizionare le politiche nazionali: se per le comunicazioni (5G) e per la salute(vaccini e sistemi di protezione) qualcuno ha lo scettro di comando, gli altri inevitabilmente diventano suoi sudditi. E questo non va bene.

 

RIVEDERE LE REGOLE DEL FREE-TRADE

La terza conseguenza riguarda, più in generale la visione del libero commercio e dell’intervento statale in economia. La libera circolazione delle merci è sempre stata un fiore all’occhiello della visione della moderna economia di mercato, insieme alla quasi eliminazione dell’ intervento della “mano pubblica”.

La pandemia obbliga tutti gli Stati a fare debiti per poter finanziare i costi dei disastri economici e sociali provocati dal Covid e insieme mette a nudo la fragilità di alcuni settori (si pensi al trasporto aereo, alla ristorazione, al turismo) che dalla sera alla mattina possono essere azzerati in maniera irrimediabile senza l’intervento pubblico.

Quindi, tutti, tedeschi inclusi, dobbiamo tornare ad essere keynesiani per i prossimi 5-10 anni. Ma non finisce qui.

 

PIÙ ATTENZIONE AI LAVORATORI CHE AI CONSUMATORI

Perché la pandemia ha accentuato la crisi di un altro pilastro del capitalismo della globalizzazione: la ricerca di produzioni a basso costo per accontentare i consumatori . Ci si è accorti da tempo che a furia di voler offrire ai consumatori prodotti e servizi a costi sempre più bassi, spostandoli in paesi emergenti e con costo del lavoro irrisorio, abbiamo finito per distruggere milioni di posti di lavoro creando un esercito di disoccupati o di sottooccupati-i lavoretti-che oggi preme sui governi e rischia di mettere in crisi alcuni regimi democratici.

P
NON SI TORNA AL PROTEZIONISMO

Per questo, insieme all’accorciamento della supply-chain si sta rendendo necessario riportare in patri molte attività. Dobbiamo per questo abbandonare la filosofia del “free trade” e tornare al protezionismo? Non necessariamente. Anzi, sarebbe un errore spaventarsi troppo e tornare ad applicare un rimedio che potrebbe rivelarsi peggiore della malattia. Col protezionismo aumenterebbero i nazionalismi, le disuguaglianze e le tensioni geopolitiche, e anche i rischi per i Paesi che si proteggono di perdere mercati di sbocco. Per l’Italia che è un grande Paese esportatore sarebbe una tragedia. E allora che fare?

Evitando reazioni isteriche e tenendo saldo il principio della cooperazione internazionale occorre riflettere e sbarazzarsi di qualsiasi totem: protezionismo, globalizzazione sfrenata e senza regole, statalismo, totale libertà di mercato.

 

RIVEDERE IL CAPITALISMO DELLA GLOBALIZZAZIONE

E’ ora che le menti migliori e gli statisti più lungimiranti elaborino nuove visioni, meno ideologiche e acritiche per riformare il “capitalismo della globalizzazione” aumentando dov’è necessaria la cooperazione, mettendo in sicurezza quei settori strategici per ogni Paese per evitare sudditanze, puntando alla creazione di posti di lavoro più che alla riduzione dei prezzi per i consumatori e stabilendo regole del commercio internazionale meno superficiali e più agganciate al rispetto dei valori della persona, della libertà e della democrazia.

È questa una sfida all’ intellighenzia europea e americana, che devono modificare il vecchio paradigma indicando alla politica nuove e più equilibrate strade da percorrere.

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