Un sofisticato chip delle dimensioni di una moneta in cui è possibile coltivare cartilagine e sottoporla successivamente a stimoli meccanici capaci di generare gli effetti dell’osteoartrosi (OA). E’ lo straordinario risultato ottenuto nel Laboratorio del Politecnico di Milano MiMic (Microfluidic and Biomimetic Microsystems) da Marco Rasponi dell’ateneo meneghino, coordinatore della ricerca assieme ad Andrea Barbero dell’Ospedale Universitario di Basilea.
Lo studio è stato pubblicato su Nature Biomedical Engineering (https://www.nature.com/articles/s41551-019-0406-3). La ricerca non ha prodotto solo il rivoluzionario chip ma, nel corso della sperimentazione del piccolo dispositivo, ha dimostrato che l’iperstimolazione meccanica della cartilagine sembra sufficiente a indurre la patologia dell’osteoartrosi, senza ricorrere alla somministrazione di molecole infiammatorie come fatto finora.
Un’opportuna compressione del tessuto cartilagineo induce infatti i sintomi caratteristici dell’OA: infiammazione, ipertrofia e aumento dei processi di degradazione. Nella cartilagine “on a chip” si crea quindi un ambiente ideale in cui testare l’efficacia e i meccanismi di azione di farmaci, accorciando tempi e costi sperimentali e diminuendo la necessità di test su animali.
L’osteoartrosi è la più diffusa patologia muscoloscheletrica. Colpisce circa il 10% degli uomini e il 20% delle donne sopra i sessant’anni, cifre purtroppo destinate ad aumentare a causa del progressivo invecchiamento della popolazione. A dispetto di questa tendenza, tuttavia, i pazienti si trovano di fronte all’assoluta mancanza di terapie farmacologiche definite DMOAD (Disese modifying Osteoartritis Drugs): farmaci capaci non solo di alleviare i sintomi, ma anche di fermare o invertire il processo degenerativo. Al momento infatti le uniche opzioni valide sono trattamenti palliativi o l’intervento chirurgico. Lo sviluppo di farmaci efficaci è stato ostacolato dall’assenza di modelli sperimentali capaci di mimare adeguatamente la patologia.
Finora l’approccio più comune per ricostruire l’OA in vitro si è basato sulla somministrazione in espianti di cartilagine di dosi elevate di molecole capaci di indurre una risposta infiammatoria e qualche forma di catabolismo. L’OA ottenuta in questo modo, tuttavia, rappresenta solo parzialmente alcuni dei sintomi finali piuttosto che la ricapitolazione del processo patologico in vivo. Il nuovo chip, al contrario, utilizza il sovraccarico meccanico che rappresenta uno dei fattori maggiormente correlati allo sviluppo dell’OA, risultando più realistico ed efficace nello sviluppo e nello screening di farmaci.
La ricerca proseguirà verso la modellizzazione dell’intera articolazione su chip, grazie ad un progetto di Fondazione Cariplo che è stato finanziato in risposta alla call “Ricerca Biomedica sulle malattie legate all’invecchiamento 2018”. Il titolo del progetto e’ “uKNEEque: a 3D microfluidic osteochondral model to investigate mechanisms triggering age-related joint pathologies and therapeutic effects of bioactive factors produced by nasal chondrocytes”. Il Politecnico di Milano è Coordinatore della ricerca, mentre l’University Hospital of Basel è Partner. (Italpress)