Sabato 25 gennaio è stata inaugurata negli spazi di Casa Vuota a Roma la prima personale romana, “Una benedizione mascherata”, dell’artista Danilo Sciorilli, classe 1992, abruzzese di origine, torinese di adozione. Tra tele dipinte, installazioni, un’animazione video e una serie di disegni proposti in modo installativo, tutti realizzati nell’ultimo anno, lo spettatore è subito accolto in una atmosfera realistica, quotidiana, e allo stesso tempo onirica e misteriosa.
I lavori, caratterizzati dall’uso della grafite, di un nero che annulla le luci ambientali, da una parte si trovano in una chiara relazione l’uno con l’altro, trovando nell’insieme dell’esposizione la loro essenza, piuttosto che come opere singole; dall’altro si situano in piena continuità con lo spazio di Casa Vuota, caratteristica che conferisce alla mostra una cifra stilistica in sé. La dimensione quotidiana del luogo assume così, in una dialettica, a volte contrapposta, con le opere, l’eccezionalità di uno spazio espositivo. In un certo modo, l’operazione opposta e speculare a quella della Pop art: se una lattina di zuppa, inserita nel contesto museale veniva esaltata da Warhol a opera d’arte, qui lo spazio famigliare del Quadraro, in cui viene inserita la mostra di Sciorilli, diventa luogo d’arte. Merito dell’artista, certamente, ma anche dell’intuizione di Francesco Paolo del re e Sabino de Nichilo, che dal 2017 portano avanti il progetto di Casa Vuota.
L’artista “abita” la Casa, quindi, allestendo ingresso, salone e camera da letto, restituendo un immaginario stregonesco inserito in una atmosfera di gioco, letteralmente un girotondo che è anche un sabba; Come si può vedere nelle due tele “Walpurga”, sottotitolate una “Casca il mondo”, e l’altra “Tutti giù per terra”. L’ossimoro è, infatti, già nel titolo: la vita, una benedizione, è ‘mascherata’, nasconde qualcosa, forse un vuoto spaziale, un buco nero. E non solo: la maschera, è anche una maschera teatrale, che trasforma la persona in personaggio e viceversa. Così la dimensione misteriosa, persino inquietante, dei simboli e delle immagini in certo modo universali, in cui lo spettatore si perde riconoscendosi nelle istallazioni e nelle tele, è anche chiaramente autobiografica, ci racconta di Danilo Sciorilli, della sua personale esperienza, della sua “benedizione mascherata individuale”. Questo crea un effetto ossimorico, appunto, precisamente confuso: un gioco di specchi in cui l’occhio dello spettatore e quello dell’artista si sovrappongono, eppure rimangono nettamente distinti.