domenica, 17 Novembre, 2024
Attualità

Swg: il consenso degli italiani verso Israele sarebbe in forte calo

Rabbino Arbib: è guerra comandata. “Senza la possibilità di difendersi, l’idea di pace perde di senso”

Più il conflitto con i terroristi di Hamas procede e più si erode il consenso degli italiani verso l’azione di Israele. Lo registra l’ultima indagine dell’istituto di ricerca Swg, dall’assalto di Hamas a Israele chi dice di sentirsi più vicino alla “comunità israeliana” è calato di nove punti percentuali rispetto a un mese fa, passando dal 25% al 16%. In aumento al contrario il dato di una maggiore empatia verso la “comunità palestinese”, che è salito dal 10% al 18%.

Più critici a sinistra

Si è così registrato un sorpasso rispetto a una precedente rilevazione, svolta due settimane fa, quando la vicinanza verso la “comunità israeliana” (17%) risultava ancora prevalente su quella per “la comunità palestinese” (14%). Circa due terzi degli italiani non esprime una posizione netta nel merito: il 30% esterna vicinanza a “entrambe” le comunità, il 23% “a nessuna delle due”, mentre il 13% sceglie l’opzione “non saprei”. Prevale comunque “un atteggiamento critico” verso l’offensiva militare dell’esercito israeliano, sottolinea Swg. La ritiene “troppo violenta” il 50% degli intervistati (68% tra quanti si dichiarano elettori di centrosinistra), “giusta” il 20% (34% tra quanti si dichiarano di centrodestra), “troppo blanda” il 5%. Non si esprime il 25% del campione. Secondo più di un italiano su due (il 54%), una volta finito il conflitto la Striscia di Gaza dovrebbe passare “sotto il controllo delle forze dell’Onu”, mentre per il 33% sotto l’egida “delle autorità palestinesi” e per il 13% nelle mani di quelle israeliane.

Scelte emotive

Dall’indagine si apprende anche che il 76% degli italiani si sente coinvolto a livello emotivo dagli eventi bellici (“molto” il 38%, “abbastanza” il 38%). Una cifra superiore al conflitto in Ucraina, che toccherebbe da vicino il 70% degli italiani (“molto” il 30%, “abbastanza” il 40%). “Nel corso degli ultimi cinque giorni lei ha seguito notizie riguardanti le guerre in Ucraina e in Israele?”, una delle domande poste da Swg. Nel primo caso risponde in modo affermativo il 73%, nel secondo l’83%. Il sondaggio, informa l’istituto di ricerca, è stato svolto con metodo Cawi su un campione rappresentativo nazionale di 800 soggetti maggiorenni, dei quali non è dato sapere se e come sono informati.

Guerra e pace

Più articolata la riflessione del rabbino Rav Alfonso Arbib, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana che su Mokab scrive: “la nostra tefillà per eccellenza, la Amidà, si conclude affermando che H. benedice il Suo popolo con la pace. I Chakhamìm dicono che senza pace non c’è nulla, che tutte le benedizioni spariscono se non sono accompagnate dalla pace.” Da qui l’idea di “integrità” derivante dalla parola “shalòm” che deriva dalla radice “shalèm”. Integrità che può portare all’integralismo e all’ideale di perfezione o, al contrario, all’idea che non possiamo mai esserlo “a causa dei nostri peccati” e pertanto “siamo andati in esilio.” Ma esiste un’altra idea, scrive il rabbino, “l’idea che dobbiamo prendere atto degli errori del passato per costruire un futuro. Gli ebrei sono stati nella loro storia vittime in moltissime occasioni ma non si sono mai fossilizzati nel ruolo di vittime anzi, hanno sempre voluto guardare i propri difetti le proprie mancanze e soprattutto hanno avuto uno sguardo rivolto al futuro. Questa è la pace per la tradizione ebraica, la capacità di completarsi riconoscendo i propri difetti e provando a costruire un futuro.

Guerra comandata

Quanto alla guerra, spiega Arbib, “nella tradizione ebraica c’è il concetto di milchèmet mitzvà, guerra comandata da non confondere con la guerra santa.” Le guerre, scrive, “non sono mai sante”, ma quella di oggi è una “guerra di difesa” e in quanto tale è una “guerra comandata.” “Difendersi da un’aggressore non è solo permesso, ma a volte è obbligatorio.” Gli ebrei, spiega il rabbino, hanno reagito alle aggressioni “conservando la propria identità” e la propria “comunità”. Un esempio “straordinario di resistenza spirituale e culturale” e anche di “resilienza”. “Un verso dei Tehillìm dice: “Non morirò poiché vivrò”. La capacità invece di reagire all’aggressione spesso non c’è stata. Uno degli elementi più caratterizzanti del movimento sionista è stato proprio questo, il chiamare gli ebrei a reagire alle offese, a dimostrare, per usare le parole di rav Soloveitchik, che il sangue ebraico non è gratuito.” Questo è un limite ovviamente al concetto di pace perché – conclude il presidente dell’Assemblea rabbinica italiana – “non si può costruire la pace sull’annientamento di un popolo. L’idea di dover reagire all’aggressione è stata alla base della costruzione dello Stato d’Israele ma anche della reazione all’aggressione nazista nella Seconda Guerra Mondiale. Senza la possibilità di difendersi, l’idea di pace perde di senso.”

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