martedì, 30 Aprile, 2024
Economia

De Luise (Confesercenti): aperture di negozi mai così giù. Piccole imprese da aiutare per il loro valore socio economico

Creare un’impresa? Nel commercio al dettaglio è un sogno oggi sempre più difficile da realizzare. Le cause del sogno infranto con interrogativi e commenti arrivano dalla Confesercenti sui dati resi disponibili dalle fonti Camerali.
I numeri spiegano i dubbi di chi si avventura a fare impresa. Un impegno sempre meno appetibile e redditizio. Nel 2022 sono nate solo 22.608 nuove attività, il 20,3% in meno del 2021. “Un numero del tutto insufficiente a compensare le oltre 43mila imprese che hanno abbassato per sempre la saracinesca”, osserva con preoccupazione la Confesercenti, “e che fa chiudere l’anno con un bilancio negativo per oltre 20mila unità, per una media di oltre due negozi spariti ogni ora”.

Il crollo delle aperture

Mentre il numero di chiusure è in linea con quello rilevato negli anni pre-pandemia, “il dato delle aperture del 2022 è il più basso degli ultimi dieci anni”, scrive la Confederazione, “inferiore del -47,9% non solo al valore del 2012 – quando, nonostante la crisi, avevano aperto oltre 43mila attività del commercio – ma anche rispetto al 2020, anno della Covid e del lockdown, che comunque aveva registrato l’arrivo sul mercato di oltre 25mila imprese del commercio; nel 2019, le aperture erano state 29mila”.

Il tonfo Regione per Regione

Il calo delle nuove aperture è rilevante soprattutto in Sardegna (-33,2% rispetto al 2021), Piemonte (-29,3%) e Umbria (-27,3%).  Il saldo sui territori. “La desertificazione delle attività commerciali”, puntualizza la Confesercenti, “colpisce tutto il territorio nazionale, anche se a registrare i saldi peggiori sono le regioni con un tessuto commerciale più sviluppato. In termini assoluti, a registrare la perdita più rilevante è la Campania, con un saldo negativo di -2.707 negozi; seguono, a stretta distanza, il Lazio (-2.215) e la Sicilia (-2.142). Perdite rilevanti anche in Lombardia (-2.123), Piemonte (-1.683), Toscana (-1.479), ed Emilia-Romagna (-1.253). In termini relativi, però, la perdita peggiore è quella registrata dalle Marche, dove il calo percentuale delle imprese del commercio attive, rispetto al 2021, è del -8,8%: quasi una su dieci. Seguono Friuli-Venezia Giulia (-4,7%) e Molise (-4,4%).

La perdita di servizi

Tra chiusure e mancate aperture, il numero di negozi di vicinato al servizio della comunità è calato, rispetto al 2012, del -14,3% circa. “Nelle province autonome di Trento e Bolzano”, osserva la Confederazione, “ormai, ci sono solo 6,9 imprese del commercio ogni mille abitanti; in Friuli-Venezia Giulia 7,8, e in Lombardia 8,4. Nelle regioni del Sud il tessuto del commercio resiste un po’ di più, in particolare in Campania (19,7 imprese ogni mille abitanti), Calabria (18,7) e Sicilia e Puglia (entrambe con 15,1)”,

La crisi di un sistema

“La ripartenza post-pandemia non è riuscita a infondere nuovo slancio alle piccole imprese del commercio al dettaglio. Aprire una nuova attività di commercio di vicinato, in un mercato crescentemente dominato da grandi gruppi e giganti dell’online, è sempre più difficile: ed i neoimprenditori, semplicemente, rinunciano, come evidente dal calo delle nuove aperture, inferiore addirittura all’anno della pandemia”, spiega Patrizia De Luise, Presidente di Confesercenti. “A rischio c’è il pluralismo del sistema distributivo e il servizio ai cittadini: proprio l’anno della pandemia ha dimostrato il valore della rete dei piccoli negozi – dagli alimentari alle edicole – per la popolazione. Occorre aiutare le piccole superfici di vendita a inserirsi nel mercato e a restarci. Innanzitutto, puntando di più sulle politiche attive, a partire dalla formazione imprenditoriale e dal tutoraggio delle start-up da parte delle associazioni di categoria. Ma servirebbe”, conclude la leader della Confesercenti, “una spinta anche sul piano fiscale, con un regime agevolato per le attività di vicinato”.

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