venerdì, 22 Novembre, 2024
Lavoro

9 euro l’ora. Inclusi… tfr, ferie, 13ma e altri oneri

Cgia: Tec e salario minimo

Favorevole al salario minimo legale a 9 euro lordi l’ora. Ma ad una condizione: sia preso come riferimento il Trattamento Economico Complessivo (Tec) e non la paga oraria. È la posizione espressa dal Centro studi degli artigiani della Cgia di Mestre, che sottolinea come il Trattamento Economico Complessivo, oltre alla retribuzione lorda include anche il rateo delle mensilità aggiuntive come tredicesima e quattordicesima; del Trattamento di Fine Rapporto (Tfr), della quota dovuta agli enti bilaterali e di altri istituti di fonte contrattuale, come la Riduzione dell’Orario di Lavoro (Rol), i permessi e le ferie.

Il calcolo del salario differito

“Se il calcolo della retribuzione oraria tiene conto anche di queste voci”, osserva la Cgia, che compongono il cosiddetto salario differito, è evidente, “così come ha avuto modo di segnalare nei giorni scorsi Confindustria, che anche le associazioni datoriali più rappresentative degli artigiani e dei commercianti possono affermare con altrettanta fermezza che gli occupati in questi settori già oggi ricevono una retribuzione lorda oraria superiore a 9 euro”.

Cultura negoziale

Senza contare, evidenzia ancora il Centro studi che, grazie alla storica cultura negoziale presente nel nostro Paese, è sempre più diffusa, soprattutto al Centro Nord, “la sottoscrizione tra le parti sociali dei contratti di secondo livello territoriali e aziendali che, assieme al ricorso del welfare aziendale, consentono alle buste paga dei dipendenti di essere ancor più pesanti”.

Salario minimo, nodo apprendisti

Dai rilievi fatti la Cgia rimarca un fatto: se dovesse scattare il Salario minimo agli apprendisti, anche l’istituto “rischia l’estinzione”. Il concetto è racchiuso in un calcolo.
Gli ultimi dati disponibili resi noti dall’Istat, segnalano che in Italia ci sono poco più di 700 mila apprendisti; “vale a dire giovani assunti con un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione giovanile”, scrive la Cgia.
La durata del contratto varia in ragione della tipologia dello stesso: mediamente oscilla tra i 3 e i 5 anni. “In linea generale, inoltre, la retribuzione mensile di un apprendista si aggira attorno agli 800 euro netti”, annota la Cgia, “L’importo è basso perché risponde alla filosofia di questo istituto che, introdotto nel 1955, è rivolto a under 30 che entrano nel mercato di lavoro senza alcuna esperienza lavorativa e al termine di questo percorso, grazie all’attività di tutoraggio realizzata dell’azienda che li ospita, acquisiscono una professione”.

Il premio per le imprese

Per contro, l’investimento realizzato dall’imprenditore viene “premiato” con la possibilità di beneficiare di un forte abbattimento del costo del lavoro. Ora, stando ai dati riportati dall’Istat, oltre il 28 per cento del totale degli apprendisti presenti in Italia (in termini assoluti corrispondono a quasi 205 mila giovani) ha una retribuzione mediana oraria pari a 6,59 euro. “Sono dipendenti che nella stragrande maggioranza dei casi sono stati assunti da poco”, evidenzia io Centro Studi, “difatti questi apprendisti con retribuzione oraria sotto soglia presentano un numero medio di ore lavorate inferiore a circa il 20 per cento degli apprendisti più “anziani” che, invece, presentano una retribuzione oraria mediana pari a 9,61 euro”.

Il percorso formativo

“È evidente”, fa presente il Centro studi “che se agli apprendisti neoassunti la retribuzione minima oraria fosse innalzata a 9 euro lordi, nel giro di qualche anno registreremo un crollo dell’utilizzo di questo contratto”. “Per le imprese, infatti, assumere un giovane alle prime armi senza alcuna esperienza alle spalle con un contratto di apprendistato non sarebbe più conveniente”, osserva la Cgia, “Altresì, va ricordato che con questo contratto sono tantissime le generazioni di lavoratori che sono diventati dapprima degli ottimi operai specializzati e poi anche degli imprenditori di successo”. Anche per queste ragioni storiche e culturali, per il Centro studi, “l’istituto dell’apprendistato va salvaguardato e, pertanto, ‘esonerato’ dall’applicazione del salario minimo legale a 9 euro all’ora”.

I 128 Contratti collettivi

Al netto dei dipendenti dell’agricoltura e del lavoro domestico, in Italia i destinatari dei 933 Contratti collettivo nazionale di lavoro vigenti alla fine del 2021 sono 12.991.632 occupati. Di questi, il 12 per cento circa (pari a poco più di 1,5 milioni di dipendenti) non è “riconducibile” ai principali Ccnl più diffusi del settore che, complessivamente, ammontano a 128 contratti. “Verosimilmente”, sottolinea, stiamo parlando di Ccnl sottoscritti dalle associazioni datoriali: Confindustria, Confartigianato, Cna, Confcommercio, Confesercenti, etc, e dalle sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil più rappresentative nel Paese”.

Gli 805 accordi fai da te

Per contro, i rimanenti 805 contratti sarebbero stati sottoscritti da realtà imprenditoriali e sindacali “minori”, con livelli di rappresentatività “molto discutibili e non sempre presenti su tutto il territorio nazionale.” Lo stesso Cnel, ricorda la Cgia, ha avuto modo di affermare che, in questi contratti: “è molto plausibile supporre che si annidino quelli a più elevato rischio di dumping” In altre parole, questi 805 contratti che interessano almeno 1,5 milioni di dipendenti rappresentano un’area “grigia” che, rispetto ai contratti firmati dai “leader”, spesso consentono a molte imprese di praticare condizioni economiche al “ribasso” e gravi “lesioni” ai diritti dei lavoratori. “In termini percentuali, i settori contrattuali più interessati dalla presenza di dipendenti a rischio dumping salariale”, evidenzia la Cgia, “sono i poligrafici e spettacolo, 32% del totale del comparto; terziario, distribuzione, servizi 17%; le aziende di servizi e l’Istruzione, sanità, assistenza e cultura, entrambe con il 14% sempre del totale del settore”.

Da 9 euro a 6 miliardi

Nei calcoli della Cgia c’è una particolare attenzione “all’effetto trascinamento” Secondo alcune stime, l’applicazione del salario minimo orario per legge a 9 euro lordi comporterebbe un costo aggiuntivo in capo alle imprese di almeno 6 miliardi di euro all’anno. Un importo, secondo l’Ufficio studi della Cgia, comunque sottostimato perché non terrebbe conto dell’effetto trascinamento che l’introduzione del salario minimo per legge avrebbe nei confronti dei livelli retributivi che oggi si trovano sopra i 9 euro lordi. “Appare evidente che, se si ritoccherà all’insù la retribuzione per i livelli più bassi, la medesima operazione dovrà essere effettuata anche per gli inquadramenti immediatamente superiori. Diversamente, molti lavoratori si vedrebbero ridurre o addirittura azzerare il differenziale salariale con i colleghi assunti con livelli inferiori, pur essendo chiamati a svolgere mansioni superiori a questi ultimi”.

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