martedì, 16 Aprile, 2024
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Libertà e democrazia: vanno difese e promosse non “esportate”

76 anni dopo la vittoria contro il nazifascismo e 22 anni dopo la caduta del Muro di Berlino si profila uno scenario internazionale preoccupante: l’espansione dei regimi autoritari, dittatoriali e violenti e il rischio di un arretramento delle democrazie liberali che hanno avuto negli Stati Uniti e nell’Europa i modelli più avanzati. Battere in ritirata sarebbe un catastrofico errore che pagherebbero le nuove generazioni. Ma applicare teorie strategiche sbagliate sarebbe peggio.

 

A Kabul si è sfarinato definitivamente almeno uno dei tre pilastri della teoria strategica “neo-con” Dal 2000 i conservatori americani hanno proposto la dottrina della guerra di prevenzione, la lotta agli «stati-canaglia» e soprattutto l’esportazione della democrazia. Quest’ultima espressione è di per sé infelice e fuorviante.

La democrazia e la libertà non sono merci che si esportano né tantomeno modelli di vita civile e statale che si impongono. Sono valori che si devono proporre e, soprattutto, difendere ovunque esse siano in pericolo, aiutando le popolazioni che da sole non riescono a resistere ai regimi totalitari.

Il tema è complesso e merita una riflessione attenta ben oltre le polemicucce di questi giorni tra destra e sinistra.

 

NON ESISTE UN SOLO MODELLO DI DEMOCRAZIA
L’errore principale della “esportazione della democrazia” consiste nel ritenere che esista un solo modello di democrazia liberale. In realtà i valori di democrazia e libertà devono armonizzarsi con la storia e la cultura di un popolo, in base alle sue tradizioni. Pretendere di applicare dall’esterno, ancor peggio imponendolo, il proprio modello di democrazia liberale porta inevitabilmente a errori di valutazione e fallimenti. L’ultima riprova sono state le cosiddette “primavere arabe” che dopo pochi mesi si sono tradotte in dittature militari-l’Egitto- in feroci guerre civili-la Libia-in regimi corrotti-la Tunisia.

 

TENERE CONTO DELLE CULTURE E TRADIZIONI DEI POPOLI
Gli americani ci hanno aiutato prima a liberarci del nazifascismo e poi a impedire che finissimo sotto il giogo comunista. Ma non ci hanno imposto niente. L’Europa aveva conosciuto la democrazia che era stata cancellata in alcuni Paesi e minacciata in altri. Non c’è stata nessuna esportazione forzata della democrazia americana nella Seconda guerra mondiale e durante la Guerra fredda ma un sostegno economico, militare e politico per il ritorno della democrazia e la sua difesa dal comunismo. Paesi come l’iraq, l’Afghanistan o anche quelli che si affacciano sul Mediterraneo hanno storie diverse da quelle degli Stati europei.

Aiutare chi in quei Paesi vuole liberarsi dall’oppressione e fare conquiste di civiltà non è un optional, ma un dovere. Ma bisogna saperlo fare.

 

PIÙ INTELLIGENCE E STUDIOSI, MENO GENERALI E DRONI
Non basta affidare il successo di queste operazioni alla superiorità militare che, peraltro, non ha funzionato nè in Iràq nè in Afghanistan.

Bisogna studiare bene la cultura dei popoli, le loro tradizioni, capire come poter adattare i nostri modelli liberaldemocratici ai loro contesti. Servono più antropologi, sociologi, studiosi delle lingue e delle culture locali e meno generali e cacciabombardieri.

Le agenzie di intelligence possono svolgere un lavoro eccellente perchè si inseriscono nei contesti locali, entrano in contatto con gente del posto, vedono e capiscono da vicino quello che nè satelliti nè droni e neanche scranni parlamentari distanti migliaia di chilometri potranno mai comprendere.

Stati Uniti ed Europa non devono ritirarsi nei propri confini, godersi la democrazie e libertà, mentre si espandono potenze autocratiche e dittatoriali. Ma devono rivedere da cima a fondo vecchie obsolete teorie strategiche di stampo militarista e puntare di più sul soft-power: aiuti alle popolazioni, scuole, ospedali, servizi per i cittadini e supporto agli oppositori dei regimi e interventi astuti sui  prestiti e sui debiti dei Paesi. La Cina insegna.

 

 

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