sabato, 22 Marzo, 2025
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9 miliardi di metri cubi prelevati, ma il 42% va perso: l’Italia dell’acqua tra sprechi e disuguaglianze

L'Istat fotografa un Paese ancora frammentato nella gestione idrica: nel 2022 oltre 6,6 milioni di italiani non erano allacciati alla rete fognaria, il 28,7% non si fida a bere dal rubinetto

In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, oggi l’Istat restituisce un ritratto ampio e articolato dello stato delle risorse idriche in Italia, con dati che abbracciano gestione, distribuzione, uso civile, agricolo e industriale. L’approfondimento, pubblicato annualmente per questa ricorrenza istituita dall’Onu nel 1992, evidenzia luci e ombre, confermando quanto la gestione sostenibile dell’acqua resti una delle grandi sfide ambientali, economiche e sociali del nostro tempo. Nel 2022 i gestori dei servizi idrici civili erano 2.110, un numero ancora alto ma in progressiva diminuzione rispetto ai 7.826 registrati nel 1999. Di questi, oltre l’80% sono gestori in economia, ovvero enti locali e Comuni. Solo il 17,6% è costituito da gestori specializzati, in grado però di coprire il 91% dell’acqua potabile prelevata grazie a strutture più moderne ed efficienti.

Nonostante i progressi, la frammentazione della gestione resta evidente in alcune Regioni: Calabria, Campania, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano mostrano ritardi significativi nell’adozione del servizio idrico integrato. Un’anomalia che incide sulla qualità, sulle perdite e sull’equità nell’accesso all’acqua.

Prelievo e distribuzione

Nel 2022 il volume di acqua prelevata per uso potabile ha raggiunto i 9,14 miliardi di metri cubi, ma le perdite in distribuzione restano preoccupanti. La media nazionale si attesta al 42,4%, ma nei gestori in economia si arriva al 45,5%. È come se quasi la metà dell’acqua immessa nella rete si disperdesse prima di raggiungere i rubinetti. A livello territoriale, è il Nord a primeggiare in efficienza, mentre il Mezzogiorno continua a soffrire: nel 2023 un terzo dei capoluoghi del Sud ha adottato misure di razionamento idrico. Agrigento è il caso limite, con sospensioni totali per 208 giorni e riduzioni per altri 157. Messina, Trapani, Catanzaro e Chieti hanno vissuto disagi simili, anche con l’uso di autobotti.

Sul fronte della fognatura pubblica, l’Italia registra un livello di copertura dell’88,8% della popolazione, ma oltre 6,6 milioni di residenti non sono ancora allacciati alla rete. La Sicilia è la Regione con la copertura più bassa (76,5%), mentre Catania segna il valore peggiore tra le città metropolitane, con solo il 35,8% di residenti serviti. La depurazione delle acque reflue urbane è garantita da 1.277 gestori e 18.118 impianti. Sebbene il 94% del carico inquinante potenziale venga trattato da impianti secondari o avanzati, le criticità sono ancora marcate in Campania, Calabria e Molise.

La voce dei cittadini

I dati Istat segnalano che nel 2024 l’8,7% delle famiglie italiane ha riscontrato irregolarità nell’erogazione dell’acqua, con picchi nel Sud e nelle Isole: in Calabria e Sicilia, quasi il 30% delle famiglie segnala disservizi. E nonostante la buona qualità certificata dell’acqua potabile in molte aree, oltre un quarto degli italiani (28,7%) non si fida a berla dal rubinetto. La percezione soggettiva del servizio idrico è migliore al Nord, dove la soddisfazione supera il 90%, mentre nelle Isole si ferma al 72,3%. Costi elevati (segnalati dal 39,8% delle famiglie), bollette poco chiare e letture dei contatori insoddisfacenti peggiorano ulteriormente la percezione del servizio, specialmente in Calabria, Sicilia e Campania.

L’acqua in agricoltura

Nell’annata agraria 2019/2020, circa 2,4 milioni di ettari (19% della superficie agricola utilizzata) sono stati irrigati. Il mais domina tra i seminativi irrigati (26,4%), seguito da riso, ortive e patate. L’autoapprovvigionamento è diffuso: in oltre il 35% dei casi le aziende agricole si riforniscono da pozzi o fonti interne, con una forte presenza di sistemi ad aspersione (38%) e microirrigazione (21,5%).Solo il 6,3% delle aziende ha richiesto consulenza irrigua, con punte più alte nelle province autonome di Trento e Bolzano. Un dato che rivela spazi di miglioramento nella diffusione di tecniche sostenibili e nella gestione razionale della risorsa.

Le acque minerali

Nel 2022, i prelievi di acque minerali naturali sono stati pari a 18,9 milioni di metri cubi, in leggero calo (-0,8%) rispetto all’anno precedente. Il 54% del volume proviene dal Nord, con Lombardia e Piemonte in testa. L’intensità di estrazione è più elevata nel distretto del Po e in quello delle Alpi orientali. A livello nazionale, l’indice di pressione ambientale per questa attività si attesta a 63 m³/km², ma nel Nord-ovest sale a 126 m³/km², più del doppio del dato medio.

L’acqua come bene economico

Nel 2022, la produzione legata alla gestione delle acque reflue e delle risorse idriche ha generato un valore di 13,9 miliardi di euro, con un valore aggiunto di 6 miliardi (+9,6% rispetto al 2021). La gestione delle acque reflue rappresenta oltre il 94% del totale, mentre la gestione dell’acqua pesa per il 5,1%, focalizzandosi su reti, perdite, risparmio e riuso. Le spese sostenute per la protezione dell’ambiente, pari a 51,4 miliardi, vedono la gestione dei reflui come voce principale (13,1 miliardi). Le famiglie spendono 2,6 miliardi per servizi di depurazione, mentre gli investimenti da parte delle imprese toccano quota 2,6 miliardi.

Il clima che cambia

Il cambiamento climatico è un tema trasversale che investe l’intero ciclo dell’acqua. Il 69,2% degli italiani con più di 14 anni si dichiara preoccupato dagli effetti dei mutamenti climatici, con picchi nel Nord e nel Centro. Il 28,5% è allarmato dal dissesto idrogeologico e il 37,9% teme l’inquinamento delle acque. La consapevolezza dell’importanza dell’acqua è diffusa: il 68,8% degli intervistati dichiara di fare attenzione a non sprecarla. Eppure, l’Italia resta un grande consumatore di acqua minerale: l’82,6% della popolazione ne beve almeno mezzo litro al giorno. Il primato del consumo spetta all’Umbria (92%), mentre a Bolzano si registra la quota più bassa (58,6%).

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