L’origine dell’autorità è sempre stata materia di opinioni discordanti, dispute e polemiche. Si possono fissare due posizioni radicalmente opposte:
a) teologista, nel senso di un’origine diretta dell’autorità o da un mandato e conferimento da parte di Dio (teocrazia dell’Antico Testamento, applicata ai sovrani assoluti europea dell’età moderna, prima della Rivoluzione Francese), o addirittura da una qualche manifestazione di Dio nel principe (mitologia pagana);
b) immanentistica, nel senso di una derivazione dell’autorità dalla pura volontà del popolo, o mediante elezione (democrazia naturalistica e laica); o per una interpretazione carismatica del suo volere o almeno della sua coscienza e del suo interesse come Stato (totalitarismo), nazione o razza (nazionalismo, razzismo), collettività (socialismo, comunismo); o per il diritto di dominazione in forza di conquista o di altri motivi (autocrazia).
Questa concezione dell’origine dell’autorità come proveniente esclusivamente da sorgenti umane unifica sistemi tra loro assai diversi, come il nazionalismo esagerato, lo statalismo, il razzismo, il comunismo, il liberalismo ecc., nell’esclusione di ogni riferimento a un principio trascendente.
Di fatto si sono sperimentate le conseguenze di questa esclusione sia nei regimi totalitari, dove tutto è subordinato alla volontà del capo o alla decisione del supremo consiglio del partito, sia non di rado negli stessi regimi liberali e democratici, dove si sono fatte leggi in contrasto col sentimento e la volontà delle popolazioni (per esempio in materia del diritto familiare e scolastico o riguardo la libertà religiosa), oppure si sono applicate le leggi secondo gli interessi particolari dei potentati politici e/o economici contro l’interesse comune delle popolazioni.
Ma anche a prescindere dagli inconvenienti e, spesso, misfatti che una politica, priva di riferimento a una suprema legge (lex aeterna, la chiama San Tommaso), porta con sè quasi inesorabilmente, sta il principio dell’origine dell’autorità ex alto per la ragione che solo dall’alto può derivare il potere di vincolare la volontà o almeno le attività di altri uomini, che sono propri simili, egualinper natura, liberi in forza della loro personalità. Per fondare il potere degli uni sugli altri, a volte fino al punto di disporre della loro vita, non basta ricorrere alla “volontà del popolo”, difficile da decifrare, labile e mutevole, ma soprattutto incapace di dare a qualcuno ciò di cui non dispone; nè è necessario ricorrere a una rivelazione e scelta di Dio, come potè avvenire in casi particolari come quelli menzionati dall’Antico Testamento circa il popolo eletto da Dio e “teocratico”.
Libro di fede la Bibbia, ma anche di storia, dove molti testi sull’elezione divina dei re devono interpretarsi nella loro duplice dimensione: a) di reale intervento di Dio negli avvenimenti del “suo” popolo; b) attribuzione a Dio da parte dell’autore sacro, secondo il modo di pensare e di parlare semitico e, in genere, orientale, della paternità e responsabilità diretta di accadimenti storici, dei quali invece dei quali invece egli non è la causa prima, operante mediante le cause seconde, ossia, in questo caso, mediante fattori psico-sociologici e politici che giocano in una determinata area socio-culturale. Non c’è dubbio che attraverso questo gioco storico Dio svolge il suo piano, compie il suo disegno: ma il libro sacro, che descrive questo suo disegno in ordine alla salvezza, non presenta l’involucro socio-politico (e socio-religioso) del disegno come uno schema ideale delle pubbliche istituzioni.
Queste vanno studiate nel loro sviluppo storico in confronto con i postulati della stessa natura , da cui si evolvono, è illuminante semmai ex alto con la dottrina della nuova socialità
che si si rileva dalla Bibbia e soprattutto dal Nuovo Testamento.
I dati biblici e i risultati dell’osservazione
I dati biblici sull’origine divina dell’autorità, che Gesù e San Paolo applicano anche ai principi pagani (Cesare, Pilato, i re e gli altri governanti), e che la tradizione cristiana sviluppa progressivamente in relazione alle condizioni storiche fino alla dottrina degli ultimi pontefici e del concilio, hanno un contenuto metafisico-teologico -etico che si enuclea dal principio fondamentale secondo il quale il primo autore, la fonte e il fondamento di ogni potere è l’unico, infinito, onnipotente dominatore di tutto l’essere creato e quindi anche dell’essere umano, Dio. Per rapporto dell’essere umano, Dio è:
a) creatore e primo principio dinamico della natura umana, creata da lui come socievole e sociale, tendente alla convivenza e quindi alla costituzione di un principio unificativo e direttivo: appunto l’autorità
b) intelligenza ordinatrice dell’universo secondo un piano di sapienza che si riflette nelle leggi dell’ordine morale, base e radice di tutto l’ordine sociale, giuridico, politico.
Da Dio -potenza creatrice deriva il movimento alla convivenza e quindi alla costituzione dell’autorità, come tendenza ed esigenza della stessa natura umana; da Dio -sapienza ordinatrice deriva la costituzione e legittimazione dell’ordine giuridico stabilito in conformità alla legge naturale – riflesso della lex aeterna – e3 quindi di tutto l’esercizio dell’autorità secondo quelle leggi.
Affermare che l’autorità viene da Dio non significa che nei singoli casi concreti sia Dio ad investire di potere il soggetto dell’autorità, o a rivelare a chi debba essere attribuita.
Come in tutti gli altri casi di azione cosmica, umana, storica, così anche in questo sono le cause seconde, le umane volontà, le pubbliche istituzioni che, in modi diversi secondo i tempi, i luoghi, i gradi di evoluzione socio-politica e giuridica, determinano la pratica assunzione dell’autorità, sempre tuttavia con una certa designazione o almeno accettazione da parte della comunità: si tratti di un potere raggiunto per mezzo di una conquista, o derivante da una convenzione almeno implicita.
In altri casi sarà stata una ragione di difesa da nemici esterni (tribù rivali, briganti ecc.), o di ordine interno e specialmente di amministrazione della giustizia a far emergere un capo, a cui si affidò un gruppo, che poi gli riconobbe o almeno ne accettò l’autorità in modo permanente.
Si dovettero verificare anche casi di soggiogamento o di conquista, in forma inizialmente violenta, che però successivamente si trasformò on un regime relativamente stabile.
Queste ed altre forme pratiche di originale determinazione dell’autorità, come tutte le ulteriori evoluzioni storiche, non intaccano il principio fondamentale della derivazione da Dio mediante l’impulso naturale che porta alla vita sociale e politica e che si traduce nelle intenzioni, decisioni e convenzione dei membri della società circa l’attribuzione o il riconoscimento dell’autorità a persone, gruppi, istituzioni che così acquistano, appunto per derivazione da Dio, principio primo della natura, dei suoi impulsi, delle sue leggi, quel potere vincolativo delle volontà e delle coscienze nel concreto disporre delle attività sociali, che nessuno dei membri della società e nemmeno il loro insieme possiede.
Oggi si suol dire che l’autorità è partecipata alle persone, ai gruppi, agli istituti che la detengono (legislatori e governanti) per suffragio e mandato popolare; partecipata dal popolo che però radicalmente la conserva nel senso di disporre del mandato, per confermarlo agli stessi o per affidarlo ad altri allo scadere dei termini prestabiliti (turni elettorali) o, in via ecce3zzionale, anche prima, mediante i meccanismi già fissati dalle costituzioni o, in certi casi, per altre vie (non esclusa la rivolta contro l’oppressore). Ma coloro che sono così designati e stabiliti, costituiscono anche oggi realmente dei “superiori”, in senso gerarchico, ai quali i cittadini devono ubbidire, come “sudditi”, in tutto ciò che è conforme ai giusti principi etici e giuridici: non quindi sudditi in modo assoluto, perchè dipendenti non come servi ma come uomini liberi, proprio perchè al di là del mandato popolare, l’autorità ha origine dall’autore della natura, Dio, che, da una parte, ne fonda e giustifica il potere, e dall’altra, lo limita all’ambito delle leggi che siano conformi e servano alle esigenze di sviluppo della natura da lui creata.
Il duplice carattere dell’autorità secondo il pensiero cristiano
Appare così il senso dell’invito di Gesù a “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”” (Mt.22,21), e dalla sua dichiarazione a Pilato: “Non avresti il potere su di me se non ti fosse dato dall’alto” (Gv. 19,10ss.). Come pure dalla dottrina di San Paolo: “Ogniuno sia soggetto alle autorità superiori, perchè non c’è autorità che non venga da Dio, e quelle che esistono, sono disposte da Dio. E perciò chi si oppone all’autorità resiste all’ordine stabilito da Dio; e coloro che resistono attirano la condanna sopra se stessi” (Rom. 13, 1-2).
Il cristianesimo così fa emergere nella storia del pensiero politico la concezione dell’autorità come derivante e quindi condizionata e legata da Dio, unico principio trascendente di giustizia, verità, sapienza, che regge e domina il creato e quindi anche l’uomo e la società, sicchè per il cristianesimo l’autorità meglio rivela (o acquista) il carattere:
a) di rappresentazione di un valore assoluto e di un giudizio certo, riflesso nei dettami dello spirito umano (lex naturae come partecipazione della lex aeterna), a cui vanno ispirate, confrontate, commisurate tutte le leggi umane (lex positiva), tutti i giudizi, tutte le disposizioni, tutto il comportamento delle autorità terrene (oltre alla condotta dei “sudditi”), come a trascendente fondamento e fine dell’ordine etico-giuridico-politico;
b) di servizio al bene comune, e quindi all’uomo, al popolo, alla civiltà, alla pace, nell’interpretare le supreme leggi e nell’applicarle alla contingenza storica, fuori di ogni arbitrio, di ogni prepotenza, ma anche di ogni insindacabile “diritto divino dei principi”, di ogni “ragion di Stato”, di ogni “volontà di potenza” che voglia sovrapporsi o sostituirsi alle norme della morale comune, che, in fondo, è quella del “decalogo” e si riassume nel duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo o, in una parola, nella volontà e pratica del bene.
In questa luce cristiana non è concepibile una “logica dello sviluppo reale” che, come è stato scritto, “finisce per essere autonoma ed indipendente da ogni norma morale”, né una “ragion di Stato” che “finisce per rimanere… al di fuori di una prospettiva morale”, perchè la politica nella società contemporanea includerebbe dei valori autonomi immanenti, a cui non sarebbe confacente la prospettiva data dalle norme astratte della morale. Anche a prescindere dalla confusione tra l’astratto e l’universale, in cui spesso si cade quando si parla di norme morali, resta la necessità di un riferimento continuo dell’azione politica – sia dell’autorità propriamente detta sia della società che, in qualche modo, si autogoverna – a quelle norme universali, proprio per evitare che il particolare si imponga come espressione di una volontà singola o di gruppo che faccia debordare l’autorità dalla linea di derivazione dei valori assoluti e di servizio al bene comune oggettivo, fuori della quale non ha legalità né ragion d’essere.
Don Walter Trovato
Presidente de
“La Migliore Italia”