Gli errori giudiziari cominciano a diventare tanti. In uno Stato come il nostro la giustizia non può permettersi di indicare come colpevoli dei soggetti, e trattarli come tali (insieme alla stampa) per svariati anni, senza celebrare processi che ne chiarirebbero l’innocenza. Troppe, ataviche commistioni tra un’idea politica della Giustizia e la sacrosanta applicazione delle regole del diritto penale e processuale. I casi dell’assoluzione definitiva per il presidente Berlusconi dal c.d. Ruby-ter, quello di Bruno Contrada (stabilita definitivamente l’ingiusta detenzione) e quello del Generale Mori (assolto per un reato comunque inesistente nei codici di rito) devono costituire un modello da non seguire. Non si tratta di disquisire intorno alla malafede dei Giudici, ma di disciplinare l’esercizio dell’azione penale in modo univoco e rispettoso delle regole del diritto. Queste non possono essere impunemente violate da nessuno, soprattutto, anche se con eccezioni per fortuna non frequenti, da magistrati che con avventatezza formano ipotesi di delitti non supportate adeguatamente dalle prove. Non possiamo permetterci una punibilità senza limiti, magari solo perché si hanno idee politiche o sociali diverse.
Reati evanescenti e punibilità senza limiti
Il concorso esterno in associazione mafiosa, il traffico di influenze e la trattativa Stato-mafia, per citare i più eclatanti, sono ipotesi di reato evanescenti, che violano palesemente uno dei principi cardine delle nostre leggi penali: quello della tassatività delle fattispecie. È auspicabile che un Ministro competente come quello attuale proceda, con il Parlamento, a una revisione profonda e seria della Giustizia come priorità per il paese, perché se questa non funziona è la stessa democrazia a vacillare.