sabato, 16 Novembre, 2024
Cultura

I nazisti, l’arte “degenerata” e i capolavori depredati

Quando nel 1933 il partito nazista salì al potere con Hitler, il primo obiettivo fu quello di abolire immediatamente tutti i tipi di arte che non si adattavano correttamente all’immagine del regime.

L’arte moderna venne rinominata come: “Entartete Kunst” (arte degenerata), e questo termine rendeva molti artisti dell’epoca personaggi non idonei a rappresentare l’immagine nazista.

Il termine “arte degenerata” fu introdotto alla fine del XIX secolo dal sionista ebreo Max Nordau, uno dei principali sostenitori del nazismo nei primi anni del Terzo Reich.

Nordau nel suo libro intitolato “Entartung” scrisse che la degenerazione dell’arte risiedeva nella degenerazione dell’artista stesso, criticando l’estetismo e condannando la nuova società mentre teneva fede al suo tradizionalismo.

Per fare in modo di radicare la loro propaganda contraria all’arte moderna i nazisti tennero due mostre d’arte.

La prima fu la Grande Mostra d’Arte Tedesca dove esposero dipinti raffiguranti donne bionde, soldati sui campi di battaglia, facendo così capire ciò che Hitler voleva che l’arte rappresentasse nel suo Terzo Reich.

Una seconda mostra, chiamata Entartete Kunst Exhibition, mostrava al mondo tutto ciò che secondo la loro teoria non poteva essere considerata arte.

In questo modo la famosa “purga dell’arte” si andò velocemente radicando: i libri venivano bruciati, i dipinti venivano triturati e gli artisti venivano rimossi dalle loro posizioni come insegnanti o curatori d’arte.

Le persone che non rientravano nell’immagine nazista degli artisti dell’epoca venivano considerate  una minaccia per lo Stato e  gli venne vietato di visitare le università o altre istituzioni culturali.Per  molti di loro fl’unica scelta possibile fu  di andare in esilio.

Ma dove sono finite le opere considerate da loro degenerate?

Nel 1939 il comandante Hermann Göring mise in asta in Svizzera 14 opere d’arte contenenti dipinti di artisti famosi come Van Gogh, Dalì, Picasso e Mirò; questo avvenne poco prima della grande epurazione delle opere rimanenti.

La quantità stimata di dipinti bruciati nel marzo 1939 fu di circa 4.000 opere, una cifra irrisoria in confronto alle migliaia di opere che furono rubate saccheggiando le abitazioni delle famiglie ebraiche.

Un caso particolare che fece scalpore fu quello dell’opera di Klimt raffigurante il ritratto di Adele Bloch -Bauer, rinominato dai nazisti “la donna in oro” per nascondere l’origine ebraica della musa di Klimt. La famiglia Bloch-Bauer aveva un’importante collezione di opere d’arte che furono distribuite tra i vari ufficiali durante il periodo della grande epurazione. Il dipinto, in base alle presunte disposizioni testamentarie della defunta musa, venne dato alla Galleria del Belvedere di Vienna.

L’opera fu per anni oggetto di battaglie legali da parte dell’unica nipote in vita di Adele Bloch- Bauer, la quale alla fine riuscì a vincere la causa contro la Galleria del Belvedere e riportare negli Stati Uniti l’opera di sua proprietà, venduta in seguito alla Neu Galerie di New York dove la si può tutt’ora ammirare.

Possiamo dedurre che la battaglia per la restituzione del dipinto di Klimt sia solamente una delle tante vicissitudini che la storia si porta avanti nel tempo. Ancora ad oggi, il numero delle opere rubate dai nazisti durante il periodo del Terzo Reich è incalcolabile.

Nei Paesi Bassi, per esempio, sono state istituite delle squadre composte da persone con il compito di setacciare le opere che si trovano all’interno dei musei e edifici statali per verificare se all’interno di essi ci sia la presenza di opere rubate dai nazisti.

In conclusione, possiamo affermare che gli obbiettivi raggiunti fino ad oggi riguardo la restituzione delle opere trafugate dai nazisti è il risultato di un duro lavoro per rendere giustizia alle vittime della Shoah, dei sopravvissuti e dei loro eredi.

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