venerdì, 29 Marzo, 2024
Società

Voto ai sedicenni, meglio aspettare

“Determinate decisioni, nell’ambito del diritto pubblico e del diritto privato, devono essere assunte soltanto quando il processo di crescita e maturazione è stato completato”. È il punto di vista del professore Marco Olivetti, ordinario di diritto costituzionale nel Dipartimento “Giurisprudenza, Economia, Politica e Lingue moderne” della Lumsa, a proposito della proposta di riconoscere il diritto di voto a partire dai 16 anni.

Il professore Marco Olivetti

Professore, si parla sempre più spesso del voto ai sedicenni…
“In generale non è una novità; se ne discute in tutte le democrazie più avanzate. In Austria i sedicenni lo fanno già. È giusto ci sia un confronto in questa fase in cui vi è un progetto di riforma costituzionale. Bisogna, però partire da un dato…

Quale?
“Il nostro, a dispetto del nome, non è un suffragio propriamente universale, nel senso che le persone da 0 a 18 non hanno diritto di voto. È vero che si tratta di una situazione temporanea che viene superata col tempo; resta, comunque, la peculiarità che le persone anziane hanno forse un peso spropositato sulle loro spalle….”.

Secondo lei l’Italia è pronta ad una “novità” del genere?
“Personalmente nutro qualche perplessità. Ritengo ancora valida la ragione per la quale il diritto di voto è stato riconosciuto solo a partire dal compimento della maggiore età che, un tempo, era 21 anni e poi è stata abbassata a 18. E ciò per la stessa ragione per la quale esiste la maggiore età, e cioè perché determinate decisioni, nell’ambito del diritto pubblico e del diritto privato, devono essere assunte soltanto quando il processo di crescita e maturazione è completato. Non mi sembra che, nel frattempo, sia avvenuta una maturazione tale da richiedere di modificare il quadro”.

 Davide Casaleggio, presidente di “Rousseau” – l’associazione che, attraverso l’omonima piattaforma, controlla le decisioni del M5S – ha parlato di democrazia digitale nel corso del “Digital Citizenship: Crucial Steps Towards a Universal and Sustainable Society” all’Onu. Lei cosa pensa del voto elettronico attraverso la Rete?
“Dobbiamo chiarire bene di cosa parliamo. Ci sono due eventualità. La prima. Il cittadino esce di casa si reca ai seggi e, all’interno della cabina, anziché adoperare la scheda e la matita copiativa si trova di fronte ad una macchina elettronica che richiede il compimento di una serie di operazioni di modo che, dopo la chiusura delle urne, è possibile determinare subito il vincitore. Questa esperienza è già sperimentata con successo in altri Paesi. Se, invece, per voto elettronico intendiamo il voto da casa allora lì dobbiamo fare attenzione”.

In che senso?
“Nel senso che viene alterata la logica della partecipazione politica. Perché il voto è individuale, ma rientra in un meccanismo collettivo. Nel 1928 nella “Teoria della Costituzione” il grande giurista tedesco Carl Smith ha profetizzato proprio questo  (“Potrebbe immaginarsi che un giorno per mezzo di ingegnose invenzioni ogni singolo uomo, senza lasciare la sua abitazione, con un apparecchio possa continuamente esprimere le sue opinioni sulle questioni politiche e che tutte queste opinioni vengano automaticamente registrate da una centrale, dove occorre solo darne lettura. Ciò non sarebbe affatto una democrazia particolarmente intensa, ma una prova del fatto che Stato e Opinione pubblica sarebbero totalmente privatizzati”) arrivando a concludere che non ci troveremmo di fronte ad una forma di democrazia intensa”.

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