domenica, 29 Giugno, 2025
Cultura

Europe and the emerging new global order. Un libro che racconta dove sta andando il mondo

Una lettura essenziale per chiunque sia interessato al futuro dell'Europa e non solo. In un ordine globale in evoluzione, in cui il destino dell'Europa non deve più dipendere dalle azioni di altre potenze mondiali, i 21 autori di alto profilo promuovono la costruzione di un'Europa capace e sicura di sé. Le sfide chiave e le minacce informatiche e climatiche.

L’Europa e le Nazioni Unite, pur restando punto di riferimento essenziali, forse andrebbero ripensate alla luce dell’attualità e dei mutamenti storici. Ne ha parlato con noi l’economista Ciro Maddaloni, che, in qualità di rappresentante per l’Italia del Diplomatic Council, un’organizzazione unica con status consultivo presso le Nazioni Unite, in occasione dell’ultimo incontro organizzato dall’Associazione culturale Omnia Nos ha presentato il libro “L’Europa e il nuovo ordine globale emergente: ripensare il quadro di sicurezza europeo”, al quale ha contributo insieme ad altri 20 autorevolissimi autori del Think Tank Globale.

Dottor Maddaloni, cosa significa rappresentare il Diplomatic Council?
In questo mio ruolo io cerco di portare avanti discussioni che promuovano l’idea di Europa e di Nazioni Unite, aiutando queste istituzioni internazionali ad avere un ruolo più importante, anche nelle questioni politiche di tutti i giorni. Per esempio, l’Unione Europea ha per noi un’importanza vitale, ma per farla valere questa importanza bisogna dotarla degli strumenti per contare a livello mondiale. Nella Ue siamo 450 mila abitanti, siamo molto più grandi della Russia e della Turchia, eppure la Turchia e la Russia non ci hanno nemmeno considerato come interlocutori per le trattative di pace sull’Ucraina.

Perché questo?
Perché noi purtroppo, pur essendo una potenza economica, una potenza sociale indiscussa a livello mondiale, non abbiamo quella capacità di fare massa critica, di lavorare come un unico corpo, un’unica entità con oltre 10 volte il Pil della Russia e il Pil uguale agli Stati Uniti. Però ci presentiamo sempre in modo frammentato. Dovremmo imparare a lavorare in sinergia, a lavorare in modo tale che tutto quello che si decide di fare porti un beneficio a tutti i Paesi membri, perdendo il concetto di nazionalismo.

Cosa intende esattamente?
Il nazionalismo certamente esiste, per questioni culturali, per questioni di lingua, ma quando si parla di interessi economici, politici, di sicurezza dobbiamo imparare a lavorare insieme, perché non possiamo pensare che l’Italia abbia la sua difesa, la Germania la sua difesa, la Francia la sua difesa. In alcune esercitazioni della NATO abbiamo scoperto, per esempio, che il collegamento dei cavi elettrici, dei rimorchi, non è uguale in tutti i Paesi europei, per cui se un rimorchio italiano deve essere rimorchiato da un camion tedesco non è possibile farlo, perché l’attacco elettrico dei sistemi frenanti e delle luci e non è uguale. Ma che ci vuole a mettersi intorno a un tavolo ad aiutare i Paesi ad avere standard comuni per questi minimi dettagli? E questo è il problema anche della difesa comune.

In questo periodo se ne è parlato molto, di difesa comune, perché è un problema attuarla?
Perché noi abbiamo protocolli proprietari, ognuno ha il suo protocollo, per cui paradossalmente se andassimo in guerra oggi rischieremmo di spararci tra noi, i francesi con gli italiani, i tedeschi con i francesi, gli italiani con i portoghesi, perché non siamo mai riusciti a mettere insieme degli standard comuni per la difesa tali da poter essere utilizzati in tutti i Paesi. Noi abbiamo tenuto nascoste queste cose come segreti militari, come know-how non divisibile, e questo ovviamente ci ha portato a un babele che semmai dovesse servire qualcosa non siamo in grado di fare nulla, pur investendo dei soldi.

Questa sorta di “protezionismo” verso le proprie industrie nazionali in realtà ci sta facendo perdere interi mercati, come quello dell’auto. Come mai?
Perché noi continuiamo a farci la guerra. Italia-Germania, Italia-Francia, Francia-Germania. Noi dovremmo cominciare a capire che invece dovremmo metterci insieme. Per l’industria dell’auto dovremmo mettere in comune la ricerca, l’assistenza, il procuramento dei componenti. Dobbiamo fare massa critica e mettere in comune tutto ciò che consente di fare economie di scala e di ottenere maggiori risultati. Perché dall’economia di scala e dai risultati nasce poi la capacità di competere. La competizione molti pensano che si faccia col prezzo, col costo del lavoro. Non è assolutamente così. La competizione si fa col know-how, con l’innovazione.

La Cina, però, ha costruito la sua potenza economica su una politica salariale al ribasso?
Questo è un altro mito che va sfatato. E’ vero che in Cina trovi i salari più bassi, ma la domanda è quanto incide il salario sul bene finale, sul prodotto? Su un telefonino il prezzo della mano d’opera è il 4%, il prezzo del trasporto è l’8%. Quindi non è qualcosa che dice in Cina è 0 e qui è 100. Partiamo sempre dal 4% del prezzo finale. Cioè il costo labor è tale per un’attività produttiva labor intensive. Se io raccolgo le ciliegie a mano il costo della mano d’opera incide. Ma se io produco telefonini, che sono prodotti dalle macchine, quello che conta è l’investimento per le macchine. Le macchine costano in Cina come in Europa e in Cina l’energia costa più che da noi. Quello del costo labor va bene per la paccottiglia, per le piccole cose, per le camicette, queste cose così. Ma automobili, telefonini, televisori sono capital intensive, non labor intensive. Allora se noi non ci rendiamo conto di questo, vuol dire che non stiamo capendo qual è il problema. Noi non abbiamo investito, loro sì.

Allora, cosa è urgente fare per il compimeto del progetto Europa?
L’Europa serve, per esempio, per avere delle frontiere comuni, per avere il roaming comune. Ma se abbiamo il roaming e le frontiere in comune, ma poi non abbiamo un sistema di difesa, un sistema sanitario e un sistema fiscale condiviso non ha senso. L’Europa serve per dare a 450 mila persone una massa economica, sociale e organizzativa che possa portare beneficio a tutti quanti. Questi piccoli protezionismi, queste piccole fughe in avanti di alcuni Paesi sono la dimostrazione che non hanno capito a cosa è utile, che non serve solo per far passare le patate da un Paese all’altro o per farsi la guerra sulle quote del latte. L’Unione Europea è qualcosa che ci mette a disposizione ricercatori o infrastrutture di trasporto comuni. Tutte le cose che ci possono portare ad avere un benessere maggiore di quello che può avere un singolo Paese. Perché c’è poco da fare, un singolo Paese non potrà mai avere la stessa forza di una unione di Paesi.

E cosa direbbe a chi, invece, rema contro questa Istituzione?
Quelli che lavorano contro l’Europa, quelli che dicono dobbiamo uscirne, non si rendono conto di cosa dicono. Perché se noi uscissimo ci troveremmo per esempio a non avere più un mercato cui portare i nostri prodotti. L’Italia esporta il 50% della produzione in Europa. Se noi usciamo quei prodotti li esporterà la Spagna, la Francia, la Romania. Noi perdiamo il nostro cliente principale, il 50% del nostro parco clienti va via. Ci ritroveremmo con un’inflazione tale che tutti potrebbero comprarsi l’Italia, potrebbero comprarsi palazzi interi, perché la nostra inflazione sarebbe così alta e la nostra svalutazione sarebbe così drammatica che ci ritroveremmo a essere in balia di chiunque abbia i soldi per comprarsi il Paese. Queste sono le cose che la gente dovrebbe capire.

Nel libro al quale ha partecipato si prende in considerazione non solo l’Europa, ma addirittura la situazione globale. Verso quale nuovo ordine stiamo andando?
Le Nazioni Unite sono quelle che dovrebbero garantire l’ordine globale, eppure non riescono a garantire assolutamente nulla, perché per come sono state costituite non possono funzionare. Faccio un esempio banale: le Nazioni Unite hanno 194 paesi, di questi 130 non sono democratici e 60 sono democratici. Che vuol dire questo? Che quando poi in Assemblea Generale si deve votare, si proteggono l’un l’altro. Se noi vogliamo applicare una sanzione contro la Russia, gli altri Paesi non democratici proteggono la Russia, non l’Ucraina. Quindi, noi dovremmo fissare una serie di parametri per far sì che voti solo chi li rispetta, in termini di elezioni democratiche, di libertà di stampa, di parità di genere e così via. Partecipi all’Assemblea, porti le tue istanze, ascolti quello che dicono gli altri, ma quando si va a votare mi devi prima dimostrare di essere un Paese democratico. A quel punto potremo avere delle Nazioni Unite che funzionano meglio. Noi già abbiamo un Consiglio di Sicurezza a cinque nazioni, che sono Cina, Russia, Stati Uniti, Francia e Inghilterra, che a turno bloccano tutte le decisioni. Allora cominciamo a dire che il Consiglio di Sicurezza non esiste più, esiste l’Assemblea Generale e vota l’Assemblea Generale, che a sua volta non può più essere come è adesso, che un voto vale uno, no. Innanzitutto vediamo se tu puoi votare o no.

Dunque, le Nazioni Unite sono un bene o no?
Le Nazioni Unite, a differenza di quello che pensa molta gente in Italia, non sono il bene, no. Sono un club privato, dove vince chi fa la voce più grossa. Se vogliamo avere un ordine mondiale, deve essere a beneficio di tutti e non di qualcuno. Oggi questo beneficio è solo di qualcuno. Tipicamente, Russia e Stati Uniti, che a seconda di come gli conviene, dicono A o B o C. E noi questo ovviamente lo subiamo, perché non abbiamo ancora capito che l’unione fa la forza.

Ma noi possiamo competere con le grandi potenze mondiali?
Gli Stati Uniti saranno anche più forti, la Cina sarà anche forte, la Russia avrà anche le armi atomiche, però quello che ha l’Europa e che non hanno molti altri posti nel mondo è il senso di civiltà, il senso di democrazia, che è unico e come tale andrebbe valorizzato ed esportato, perché noi possiamo veramente aiutare gli altri Paesi a crescere, possiamo aiutare l’Africa per esempio, la possiamo aiutare veramente. L’Africa è per noi uno degli obiettivi che dobbiamo cercare di perseguire, perché ha bisogno di know-how, di investimenti, di fiducia in sé stessa. l’Africa ha delle potenzialità di sviluppo immense.

Avrebbe soprattutto bisogno della cancellazione del debito pubblico?
E anche di togliere il signoraggio francese sulla valuta e di dare finalmente ai Paesi libertà di lavorare senza tenere lì le truppe d’invasione. Cioè l’Africa va valorizzata con serietà, con rispetto e soprattutto con competenza sulle cose da fare. Non possiamo, per esempio, lasciare come è successo finora, che tutti gli aiuti arrivino attraverso l’Agenzia delle Nazioni Unite, perché non è esattamente quello specchio di trasparenza e di qualità che molti credono. Molto spesso c’è anche lì tanta corruzione, tanta incompetenza, incapacità di fare. Andrebbero riformate le Nazioni Unite anche in questo senso, e piuttosto che mandare lì un po’ di ragazzini pieni di grande buona volontà, ma scarsi di esperienza, mandiamoci le imprese, quelle che sanno fare veramente le cose. Se parliamo di agricoltura mandiamo gli imprenditori agricoli, se parliamo di acqua mandiamo le aziende che sanno trattare l’acqua e così via. Invece, è tutto delegato al Terzo Settore, alla cooperazione internazionale.

Mentre la Cina e la Russia mandano gli ingegneri, i soldi e fanno le cose?
Come ho detto noi deleghiamo solo al Terzo Settore, che molto spesso è rappresentato da ragazzini, con tanta buona volontà, molto spesso sfruttati da qualcuno che invece pensa solo ai soldi che può rubare o che può guadagnare.

Lei nel libro parla di tante minacce, come la disinformazione, l’interdipendenza, la cybersicurezza. Tra tutte le cose che ha nominato qual è quella più grave?
La cybersicurezza. E’ sicuramente la minaccia più grave che abbiamo.

In Italia, in Europa o nel mondo?
In Italia in particolare. Lei pensi che da noi, prima dello scoppio della guerra della Russia, la Pubblica Amministrazione ha messo su un software, Kaspersky, che è un antivirus russo. E questo le dice tutto. Noi in Italia non abbiamo mai veramente investito in cybersicurezza, a partire dalle aziende. E oggi un ragazzino, di quelli che sanno lavorare col computer, con un pc da 300 euro può fermare gli impianti elettrici in tutta l’Italia, una banca, un ospedale, le ferrovie. Costruire un sistema informatico è molto complicato, ci vogliono anni, ma buttarlo giù bastano pochi minuti. Questo è il problema che noi spesso sottovalutiamo. Noi dobbiamo investire in sicurezza, perché se non investi in sicurezza, qualcuno con un investimento molto piccolo potrebbe farti un danno enorme.

 

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