È dal 253 a.C. che si parla di unire la Sicilia al Continente – come dicono i siciliani – attraverso un ponte avveniristico. L’ultimo progetto risale al 2012 e prevede una unica campata centrale di 3.300 metri di lunghezza e di 60,4 metri di larghezza. Ma non tutti sono d’accordo, c’è chi pensa che i soldi necessari siano più utili a migliorare le infrastrutture del trasporto locale sull’isola, chi si porta dietro il pregiudizio dello spreco di una società pubblica per il ponte, con tanto di impiegati e dirigenti, che per anni è rimasta in piedi anche se in realtà inattiva. Ora che il tema è tornato nella Agenda governativa, abbiamo voluto chiedere a chi da trent’anni lavora per promuovere lo sviluppo culturale, economico e sociale delle regioni del Mezzogiorno d’Italia – l’onorevole Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia – se è una opera davvero necessaria oppure no.
Presidente, vogliamo ricordare agli italiani perché dovremmo costruire un ponte tra Reggio Calabria e Messina?
Innanzitutto, ci riferiamo a un’opera di cui si parla e si sogna da secoli, unica nella sua realizzazione dal punto di vista ingegneristico, paragonabile al Golden Gate in termini di prestigio per l’intero Paese. Unire la Sicilia all’Italia e all’intero Continente, oltre a migliorare le condizioni di vita della popolazione delle due Regioni – Sicilia e Calabria – rappresenta un’occasione unica di crescita, di sviluppo economico e occupazionale, anche in considerazione dell’ingente investimento che occorre per la realizzazione.
Nel 1985 Craxi annunciò l’avvio dei lavori, che si sarebbero conclusi un decennio dopo, ma non furono mai iniziati. Nel ‘96 Prodi annunciò che l’opera doveva essere fatta, ma non fu così. Con il Governo Berlusconi sembrava che il Ponte finalmente si realizzasse, ma, subito dopo, il Governo Monti, con un decreto-legge, bloccò i lavori. Secondo Lei, perché l’opera non è stata mai realizzata?
Il problema non è tecnico, né di risorse, ma di volontà politica. Durante l’ultimo Governo Berlusconi, la società Eurolink, capeggiata da Impregilo S.p.A., vinse la gara internazionale e i lavori iniziarono con la messa a terra e la posa dei blocchi di cemento, da una parte e dall’altra dello Stretto. Il costo complessivo dell’opera, al tempo, era stato stimato in 8,5 miliardi di euro, dei quali sarebbero stati a carico dello Stato solo 1,3 miliardi. La chiusura della società concessionaria Stretto di Messina spa, che aveva già stipulato contratti e bandito gare, ha obbligato lo Stato italiano al pagamento di penali per oltre 700 milioni di euro – per le quali ad oggi sono ancora aperti dei contenziosi – ai quali vanno aggiunti i soldi spesi per le opere propedeutiche, circa 300 milioni, i costi per la smobilitazione dei cantieri e quelli per il ripristino dei terreni già predisposti per l’opera. In sintesi, invece di spendere 1 miliardo 300 milioni per realizzare il ponte sono stati spesi circa 1 miliardo e 150 milioni per non farlo.
E l’Italia dovrà pagare quella penale all’ex Impregilo?
Si vedrà. C’è un contenzioso in corso, presso la Corte d’Appello e si stanno verificando varie ipotesi, compresa quella che il Gruppo Webuild – allora Eurolink, capeggiata da Impregilo S.p.A., assegnataria della gara – rinunci alle penali e provveda all’aggiornamento tecnologico e, quindi, alla costruzione dell’opera.
Il Ponte è stato concepito per unire la Sicilia all’Italia e al resto d’Europa. Il problema è che poi non c’è l’Alta Velocità né nel tratto Salerno Reggio Calabria né in quello Catania Palermo…
Non bisogna fare confusione. Si tratta di opere diverse e fondamentali. Se concretamente vogliamo parlare di sviluppo del Mezzogiorno non possiamo pensare di farlo senza mettere al centro la realizzazione di altre opere fondamentali come ad esempio l’Alta Velocità ferroviaria. Dagli studi sugli impatti dell’Alta Velocità, è emerso come nei territori con l’AV, il PIL è cresciuto in 10 anni di 7 punti rispetto ai territori che ne sono privi. Risulta evidente che solo da questa strategia può passare la crescita del territorio. Purtroppo, invece si continua a navigare a vista. C’è confusione sui progetti, tant’è che il Ministero dei Trasporti avrebbe previsto la costruzione, al costo di 24 miliardi di euro, di un nuovo tracciato – 445 chilometri – più lungo di 50 chilometri, sia rispetto a quello studiato nel 2005 da RFI sia a quello dell’attuale linea lunga 393 chilometri, per collegare Roma e Reggio Calabria in 3 ore e 40 minuti, mancando quindi l’obiettivo dichiarato di collegare Roma a Reggio Calabria in 3 ore. Su questo punto serve fare chiarezza.
E, a proposito di chiarezza, a chi dice che i soldi del Ponte potrebbero servire a sistemare la mobilità regionale cosa risponde?
Seguendo questa logica fino ad ora non si sono realizzate né il Ponte, né le opere minori. Soprattutto in questo periodo le risorse ci sono e bisogna sfruttarle al meglio, evitando di perdere le occasioni. Nel PNRR, ad esempio, non c’è traccia del progetto dell’Alta Velocità Salerno – Reggio Calabria se non per la sola tratta che va da Battipaglia a Romagnano. Il resto del percorso sarà finanziato con i Fondi complementari. Ciò vuol dire, ad esempio, che solo questo tratto dovrà essere concluso entro il 2026 – termine fissato per i progetti finanziati dal PNRR -, mentre i lavori dei primi due lotti calabresi di Alta Velocità, quelli relativi alla tratta Romagnano – Praia e il raddoppio della galleria del Santomarco (che collega Cosenza, Paola e San Lucido), slitteranno, come tempi di consegna, al 2029. Per la tratta Salerno-Reggio Calabria, quindi, saranno impegnati solo 1,8 miliardi contro il costo reale di circa 22 miliardi e 2,8 miliardi per la tratta Catania-Palermo. Entro tre anni andranno spesi i 200 miliardi complessivi del PNRR, di cui circa il 40,2% era destinato al Sud. Si sarebbe potuto fare molto di più per una infrastruttura così importante.
Insomma, lei prevede che questa sia la volta buona per il Ponte o no?
Credo proprio di si. La Presidente Meloni ha rifinanziato con 50 milioni la società per il Ponte sullo Stretto, che, quindi, non è più in liquidazione. Il Decreto Salvini, già approvato, prevede l’inizio dei lavori a luglio 2024 e l’opera è stata inserita nel recentissimo DEF. È chiaro che bisogna snellire l’iter burocratico che, nel corso del tempo, ha rallentato i lavori e causato i ritardi. A parer mio bisognerebbe seguire il “Modello Genova”: semplificazione ed efficienza. È stato fatto e si può ripetere.