Stamattina Kurt si è svegliato presto e – mentre stavo ancora sorseggiando il caffè – mi ha chiesto di spiegargli a cosa servano i 5 referendum sulla giustizia che si terranno il prossimo 14 giugno, unitamente alle elezioni amministrative.
Il Marziano ha pure voluto conoscere le ragioni per le quali il governo abbia deciso di convocare un Election Day nel quale gli elettori saranno chiamati a compiere due votazioni di natura fra loro diversissima, come quelle appena indicate,
Partendo dalla seconda questione, Gli ho spiegato che è duplice la ragione per la quale verranno allestiti unici seggi elettorali per l’una per l’altra operazione e consiste, per un verso, nella opportunità di non duplicare le risorse economiche necessarie per ciascuna consultazione e, per altro verso, nel tentativo di ottenere un effetto di sommazione fra le spinte al voto referendario e quelle al voto amministrativo: il risultato dovrebbe essere quello di frenare l’assenteismo che sempre più spesso affligge coloro che vengono chiamati alle urne.
Per quanto riguarda invece le ragioni per le quali alcune forze politiche hanno deciso di invocare l’articolo 75 della Costituzione per deliberare l’abrogazione di cinque perni dell’ordinamento giudiziario (il sesto perno, che riguardava la responsabilità diretta dei magistrati, non è stato dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale) possiamo invece dire che esse si riducono tutte all’ulteriore tentativo di rendere più ragionevole l’amministrazione della giustizia in Italia: d’altronde. se è vero che la giustizia deve essere amministrata in nome del popolo, è giusto che sia il popolo a cancellare norme che impediscono l’equilibrato sviluppo della giustizia stessa, allineando il più possibile l’azione dei magistrati a quella degli altri pubblici poteri.
Ma quali sono, in sintesi, i cinque quesiti?
Il primo riguarda l’abolizione del sistema di presentazione delle candidature al Consiglio Superiore della Magistratura, che attualmente richiede la raccolta di un numero di firme tale da imporre agli aspiranti candidati di assoggettarsi al sistema delle correnti che tanti guasti ha prodotto nell’ordinamento giudiziario oggi in vigore.
Il secondo quesito riguarda invece le valutazioni di professionalità dei singoli magistrati, innanzitutto al fine del loro avanzamento in carriera: l’attuale sistema è infatti troppo farraginoso perché funzioni secondo il principio di ragionevolezza e il sindacato del giudice amministrativo sulla correttezza di tali valutazioni non si è rivelato sufficiente ad impedire casi di ingiustizia manifesta noti, purtroppo – oltre alle vittime – solamente a coloro che usano consultare i repertori di giurisprudenza.
Il terzo quesito cerca di realizzare finalmente il regime di separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante: una separazione in vigore in ogni Paese europeo, innanzitutto al fine di evitare collusioni fra chi esercita l’azione penale e chi ne deve stabilire la fondatezza; sembra una regola elementare di civiltà giuridica, ma non piace affatto ai magistrati inquirenti (e questa circostanza è già una buona ragione per votare SI!)
Il quarto quesito vuole porre limiti agli abusi della custodia cautelare di cui leggiamo ogni giorno nelle cronache, sia pure con accenti diversi.
Sono ormai molti anni che la giustizia penale tradisce quel principio di presunzione di innocenza che non è solo previsto dalla Costituzione italiana, ma anche dalle Carte eurounitarie; dunque – ove fosse riformato, abrogando parzialmente l’articolo 274, lettera c), del Codice di Procedura Penale – il nostro sistema punitivo diverrebbe senz’altro più aderente alle prescrizioni garantiste che sono proprie di ogni ordinamento minimamente democratico.
Il quinto quesito propone infine l’abolizione del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (correntemente detto “Decreto Severino) che, introducendo l’istituto dell’incandidabilità accanto a quello dell’ineleggibilità dei condannati per delitto non colposo, ha gravemente limitato il diritto di elettorato passivo garantito dall’articolo 51 della Costituzione, rispetto al quale la giurisprudenza della Corte delle leggi si è rivelata particolarmente timida.
Ho concluso l’illustrazione dei quesiti, spiegando al Marziano che il timore degli organizzatori dei referendum non è quello di veder vincere il NO, ma piuttosto quello di non raggiungere almeno il cinquanta per cento dei partecipanti: invalidando così la consultazione.
La risposta di Kurt mi ha gelato: se non capiscono – ha detto – l’importanza di allineare il sistema di giustizia italiano a quello degli altri Paesi europei, bene faranno giudici a continuare nell’esercizio della loro attività con i criteri e nei modi attuali, con tutte le negative conseguenze che si leggono ogni giorno sulle pagine dei quotidiani!